Provocò la morte della sorella innamorata di un trans, condannato: per la Corte d’Assise non fu omicidio volontario

Maria Paola Gaglione
Nella chiesa di San Paolo Apostolo nel Parco Verde di Caivano,i funerali di Maria Paola Gaglione (foto Kontrolab)

Non voleva uccidere la sorella. Ma le sue azioni ne provocarono il decesso e lui avrebbe dovuto prevedere che quel tipo di condotta avrebbe potuto mettere a rischio la vita della parente.

Michele Antonio Gaglione è stato riconosciuto colpevole della morte della sorella Maria Paola e del ferimento del compagno transgender di quest’ultima, Ciro Migliore, ma le accuse per le quali è stato condannato sono quelle di omicidio preterintenzionale e lesioni. La procura di Nola, invece, aveva chiesto la condanna di Gaglione a 22 anni per omicidio volontario.

La prima sezione della Corte d’Assise (presidente Teresa Annunziata) ha invece derubricato l’accusa più grave ed ha anche riconosciuto prevalenti le attenuanti generiche, essendo Gaglione incensurato: la pena finale è stata di 9 anni e 6 mesi di reclusione. L’imputato è stato difeso dagli avvocati Giovanni Cantelli e Domenico Paolella.

Maria Paola Gaglione con il fidanzato Ciro Migliore

La tragedia si verificò ad Acerra, comune in provincia di Napoli, nella notte tra l’11 e il 12 settembre 2020: Maria Paola e Ciro viaggiavano su uno scooter quando vennero inseguiti da Michele, pure lui in sella allo scooter. Durante l’inseguimento Maria Paola e Ciro caddero rovinosamente dallo scooter: Maria Paola finì contro un tubo dell’irrigazione che le tranciò la gola; Ciro riportò lievi lesioni.

La famiglia di Maria Paola non aveva mai accettato quel rapporto, tanto che Maria Paola e Ciro – entrambi del Parco Verde di Caivano – decisero di andare via e si trasferirono ad Acerra. Michele Antonio, sposato, con figli, anch’egli residente al Parco Verde, per la Procura voleva dare “una lezione” alla sorella e così avrebbe inseguito e fatto cadere volontariamente dallo scooter Maria Paola e Ciro. L’imputato però si è sempre opposto a questa tesi: «Volevo solo chiederle di tornare a casa: aveva fatto le valigie ed era scomparsa, gettando tutta la famiglia nella disperazione», disse agli inquirenti.

«Questa sentenza è un primo passo verso il riconoscimento della tesi dell’imputato che, certamente, non aveva la volontà di ammazzare nessuno», dice l’avvocato difensore Cantelli. Il 32enne è rimasto in carcere dal giorno dopo il fatto all’aprile scorso, quando la Corte d’Assise gli ha concesso gli arresti domiciliari.

venerdì, 6 Maggio 2022 - 15:18
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