Il giorno di Paolo Storari. Il giorno di una delle udienze clou al processo a carico di Piercamillo Davigo per rivelazione di segreto d’ufficio.
Ieri, martedì 24 maggio, il pubblico ministero di Milano Paolo Storari è stato ascoltato, come indagato in procedimento connesso, nel dibattimento utile a ricostruire cosa accadde nella procura meneghina all’indomani dei racconti, rimasti riservatissimi, dell’avvocato Piero Amara (ex legale esterno di Eni) sulla cosiddetta ‘Loggia Ungheria’.
E’ noto che Amara riferì dell’esistenza di una loggia segreta, denominata Ungheria, cui avrebbero aderito «magistrati, imprenditori, esponenti di rilievo delle forze dell’ordine, esponenti ecclesiastici, ex ministri della giustizia». Tuttavia, a dire di Storari, la procura di Milano, una volta acquisite le notizie, non mosse un dito per valutare e pesare i racconti di Amara e capire così se ci fosse qualcosa di vero o meno nei racconti. Di qui la decisione di Storari, che era tra i titolari delle indagini su Amara, di rivolgersi a Davigo, che all’epoca era membro del Csm, per capire in che modo tutelarsi ritenendo che fosse in atto un’opera investigativa omissiva.
In quattro ore di deposizione dinanzi ai giudici del Tribunale di Brescia (presidente Rosario Spanò), Storari ieri ha ripercorso i passaggi di questa storia, soffermandosi sulle difficoltà incontrate all’interno dell’ambiente procura e delle tensioni poi scaturite per la sua insistenza e per il «muro di gomma» oppostogli, sino ad arrivare all’interlocuzione con Davigo.
Storari ha riavvolto il nastro del tempo, tornando ai mesi caldi delle dichiarazioni di Amara. La sua volontà era quella di aprire una verifica sulle dichiarazioni circa la loggia Ungheria e, in tempi brevi, definire la questione. «Perché Amara viene a Milano a calunniare 40-50 persone delle istituzioni? – ha ragionato in aula Storari – C’è qualcuno dietro o siamo di fronte a un matto? Questa è una domanda alla quale, se mi fosse stato consentito di fare le indagini, avrei tentato di dare una risposta».
Ma l’allora procuratore Francesco Greco, andato in pensione, e gli aggiunti Laura Pedio e Fabio De Pasquale agirono diversamente. Di qui, ha sottolineato Storari, la sua impressione che alle parole di Amara si attribuisse «una credibilità a geometrie variabili». Il magistrato ha argomentato questa sua sensazione riferendo un fatto specifico: le dichiarazioni di Amara sollevarono un certo interventismo quando, ad esempio, l’avvocato parlò di un “avvicinamento” del presidente del collegio giudicante del processo Eni Nigeria da parte degli avvocati di Eni, Nerio Diodà e l’ex ministro Paola Severino, ai quali il magistrato avrebbe garantito un esito favorevole: Greco, all’epoca, aprì un fascicolo di inchiesta conoscitivo e lo trasmise ai colleghi di Brescia per competenza.
«Io mi sono dissociato da questa iniziativa – ha ricordato – perché prima di immettere un ex ministro e un presidente di un collegio nel circuito giudiziario bisogna pensarci due volte». Storari seppe poi dell’apertura del fascicolo «a cose fatte»: «In questa circostanza Pedio e Greco hanno dato importanza alle dichiarazioni di Amara». Ma perché la procura di Milano avrebbe dovuto ‘selezionare’ a quali dichiarazioni di Amara credere senza una verifica preventiva? Anche sul punto Storari ha espresso in aula la propria idea: «Con gli elementi di oggi – ha detto – credo che non si volesse disturbare il processo Eni-Nigeria. Era il più importante che c’era in quel momento a Milano». «Il dipartimento (che lo aveva istruito, guidato da De Pasquale; ndr) era considerato il fiore all’occhiello della Procura e faceva i processi di serie A – ha osservato il pm – Perdere in questo processo significava mettere in discussione tutto l’assetto organizzativo della Procura” voluto da Greco».
Ad ogni modo Storari decise di rivolgersi a un esponente del Csm per tutelarsi. E contattò Davigo.
«Io non ero amico di Davigo e non lo sono ora – ha spiegato Storari ai giudici nel ripercorrere il perché decise di ‘agganciare’ l’ex pm di Mani Pulite – Sono invece amico della sua compagna. Lui mi ha subito detto: ‘io sono componente del Csm, siamo davanti a fatti estremamente gravi, a me il segreto d’ufficio non è opponibile’». Storari ha anche precisato che non fu Davigo a chiedere a lui i documenti ma che la consegna dei documenti fu un’iniziativa di Storari stesso. «Non me li chiese il consigliere Csm Piercamillo Davigo – ha spiegato – Sono io che nell’aprile 2020, per far avvisare il Csm tramite lui e tutelarmi dal muro di gomma dei miei capi, diedi a Davigo su una chiavetta i verbali di Piero Amara su ‘loggia Ungheria’, le trascrizioni e, non ricordo, ma s’cerano anche gli audio registrati dal suo collaboratore Calafiore».
Quanto alla figura di Sebastiano Ardita (consigliere Csm e appartenente alla corrente davighiana Autonomia e Indipendenza) che Amara associò alla loggia Ungheria, Storari ha precisato: «Dalla bocca di Davigo non uscì mai il nome di Sebastiano Ardita». Ma perché questo passaggio su Ardita? Va ricordato che Ardita è parte civile nel processo. Secondo la procura, uno degli obiettivi di Davigo nel fare circolare i verbali sulla loggia Ungheria era screditate il suo collega di corrente Ardita con il quale aveva avuto dei dissidi. Si tornerà in aula il prossimo 7 luglio, quando testimonieranno il vicepresidente del Csm David Ermini e alcuni consiglieri.
Storari è stato ascoltato come indagato in procedimento connesso perché, per via della divulgazione dei verbali di Amara, anche lui è stato trascinato a processo con l’accusa di rivelazione di segreto d’ufficio in concorso con Davigo. Giudicato con il rito abbreviato, Storari è stato assolto. La sentenza è stata emessa lo scorso 7 marzo dal giudice per le indagini preliminari Federica Brugnara del tribunale di Brescia. I pm Donato Greco e Francesco Milanesi avevano, invece, proposto la condanna di Storari. I magistrati hanno presentato ricorso avverso il verdetto.
mercoledì, 25 Maggio 2022 - 11:16
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