Tensione in Anm, in Cdc anche Area si spacca sullo sciopero flop. Ddl Cartabia, documento contro gli emendamenti

Marta Cartabia
di Gianmaria Roberti

Si respira un clima da resa dei conti, nella prima giornata del Comitato Direttivo Centrale dell’Anm a Roma. Come una cappa, in sala pesa il risultato dello sciopero, indetto il 16 maggio contro la riforma Cartabia: appena il 48,4% di adesioni. E all’orizzonte c’è il voto a Palazzo Madama del disegno di legge, dopo l’ok della Camera ad aprile. Una clava brandita – secondo l’Anm – contro ordinamento giudiziario e Csm.

«Se avevamo il timore fondato che c’era quel disegno di cambiare il volto costituzionale della magistratura – avverte Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione nazionale magistrati – gli emendamenti presentati in Senato ne danno conferma». Proprio le preoccupazioni sul Ddl Cartabia, alla fine, ricompattano il Comitato Direttivo Centrale. Un documento unitario della giunta viene approvato a larga maggioranza. In precedenza, però, tre emendamenti sono bocciati, a causa dei veti incrociati. A firmarli Stefano Celli (Area), Alessandra Tasciotti (Autonomia e Indipendenza), Giuliano Castiglia (Articolo 101).

Il documento della giunta, letto da Alessandra Maddalena (Unicost), prende di mira i 130 emendamenti del Senato. «Molti – spiega il testo dell’Anm – riproducono gli stessi presentati alla Camera, alcuni ledono i principi di autonomia e indipendenza della magistratura». Tra questi, la responsabilità civile diretta dei magistrati, «che presenta evidenti profili di incostituzionalità, anche nell’incontro con il ministro Cartabia ci parve di cogliere il suo disappunto». Non manca neppure «il tema delle misure cautelari, già tema del prossimo referendum». Infine la madre di tutte le battaglie, per le toghe: «Separare le carriere di pm e giudice». «È un progetto di riforma – sostiene il documento della giunta – attraversato da sentimenti di rivalsa di alcuni settori della politica nei confronti della magistratura».

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Con sfumature diverse, tra le diverse anime, tutta l’Anm è contro la riforma. Ma a creare spaccature è la strategia di contrasto. La riunione si apre con il verdetto dello sciopero ad aleggiare. La scia di malumori è palpabile, simboleggiata dalle dimissioni di Stefania Di Rienzo (Articolo 101). Un addio doppio: al Comitato Direttivo Centrale e, preannunciato, allo stesso sindacato delle toghe. Quindi, il vortice di accuse e autodifese.

«Lo sciopero è stato clamorosamente una disfatta di questa dirigenza dell’ Anm, che oggi è particolarmente delegittimata – esplode Andrea Reale di Articolo 101 -. Bisogna prendere atto del fallimento, dimettendoci tutti quanti». Ilaria Perinu (Magistratura Indipendente) sottolinea lo «scollamento tra la base e i vertici dell’Anm». E propone, quale rimedio, «che l’intero Cdc si riunisca sui territori».

Sull’esito dell’astensione si registrano divergenze nel gruppo di Area. «Lo sciopero, fatto in questi termini – rileva Silvia Albano -, non è stato utile dal punto di vista comunicativo. Le rassegne stampa sono state la rappresentazione di una débâcle, l’Anm non è apparsa in grado nemmeno di rappresentare più di metà della magistratura. Abbiamo fallito come gruppo dirigente e dovremmo, per onestà intellettuale, riconoscerlo».

In disaccordo con la collega, interviene Tiziana Orrù: «Al responso dell’assemblea degli iscritti, l’Anm ha dato con coraggio attuazione. Chi ha espresso dissenso non ha avuto altrettanto coraggio. I dati dello sciopero, che vengono criticati, ci dicono che l’Anm è riuscita a intercettare le aspettative dei giovani magistrati che lavorano nei piccoli e medi tribunali, un dato secondo me positivo e nient’affatto scontato». E siccome «in questi due anni abbiamo lavorato sodo per riconquistare la fiducia dei colleghi, facciamo operazioni costruttive, non demolitorie».

Un altro esponente di Area, Rocco Maruotti, mette in guardia: «È sbagliata una lettura dello sciopero fondata soltanto sui numeri. Nel 2002 si scioperava contro il ddl Castelli, ci fu il 68% delle adesioni con due mesi di preparazione, noi abbiamo avuto due settimane».

Dinanzi alla pioggia di critiche, Santalucia fa catenaccio: «Lo sciopero è un’esperienza non esaltante ma costruttiva, non è stato un passo falso e dobbiamo proseguire in quella direzione». Ossia, «fare di tutto per far capire che abbiamo buone ragioni, è in gioco l’ordine giudiziario e una determinata idea di Giustizia». Insomma, per il presidente dell’Anm, «è fortemente ingeneroso definire lo sciopero dei magistrati un flop». Dopo i lividi del 16 maggio, semmai, «bisogna rafforzare il passo, innanzitutto la ricerca convinta e sincera dell’unità della magistratura».

Un chiodo fisso, questo. Perché «uno dei pericoli della riforma – ammonisce Santalucia – è quello della frammentazione, e l’Anm, se ha un compito, è quello di tenere la magistratura unita». Il presidente serra le fila, e il segretario generale, Salvatore Casciaro, lo spalleggia: «Non si può parlare di fallimento, lo sciopero andava fatto e questa scelta va rivendicata orgogliosamente». Ma il magone, in platea, rimane.

sabato, 28 Maggio 2022 - 20:10
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