«Oggi sono qui nel Tribunale di Napoli intitolato a Enzo Tortora…». Esordisce con un’affermazione puntuta, e volutamente non vera, l’ex senatrice Francesca Scopelliti, compagna dello storico conduttore vittima di un clamoroso errore giudiziario e stroncato da un tumore il 18 maggio 1988.
Invitata come relatore al convegno, organizzato dalla Camera penale di Napoli, sul referendum in materia di Giustizia, Francesca Scopelliti spiega il perché, a suo avviso, si dovranno «votare 5 sì senza se e senza ma» il 12 giugno attraverso la storia di Enzo Tortora. Una storia che si consumò a Napoli dove si sviluppò l’inchiesta che trascinò nel fango il noto conduttore televisivo. Qui ci furono magistrati che diedero ampio credito a un manipolo di pentiti, poi rivelatisi falsi pentiti, ignorando gli altri elementi che gridavano l’innocenza del conduttore. Per Francesca Scopelliti non solo ci si accorse «sin dal primo interrogatorio» «che non c’erano elementi» ma si perseverò nel sostenere le accuse a Tortora pur in presenza di elementi di segno contrario sino ad arrivare alla sentenza di condanna di primo grado.
«Il caso di Tortora non è un errore giudiziario ma è un crimine – osserva l’ex senatrice – Enzo Tortora è morto di malagiustizia, non di tumore. E in un paese democratico è difficile da accettare, anzi non è accettabile». Ecco, perché Francesca Scopelliti lamenta la mancata intitolazione del Tribunale di Napoli a Tortora: «Questo Tribunale avrebbe dovuto portare il suo nome per risolvere il gravoso debito che questo Tribunale ha nei suoi confronti. Ho subito sulla mia pelle una storia che non auguro a nessuno e che non dovrebbe più ripetersi e che invece continua ad accadere».
Una storia di malagiustizia, è il concetto dell’ex senatrice, che può evitare di perpetuarsi cominciando a cambiare la giustizia grazie allo strumento dei referendum. «Oggi non siamo tornati indietro, ma molto di più. Io non ho mai avuto tanta paura come adesso della deriva giudiziaria – insiste – Mi preoccupa questo dominio sulla politica che non riesce a fare le leggi, a intervenire sulla giustizia. E allora se la politica non riesce a fare le riforme, si dà la voce al popolo».
E il popolo, dice l’ex senatrice, dovrebbe votare in modo convinto 5 sì. Le ragioni sono presto spiegate e affondano le radici sempre nella storia giudiziaria di Enzo Tortora. «Se all’epoca della sentenza di primo grado su Enzo Tortora ci fosse stata la separazione delle carriere, forse quello che è accaduto sarebbe cambiato», dice Francesca Scopelliti. L’ex senatrice ricorda dunque di un episodio dibattimentale legato allo scoperta di una clamorosa svista circa le accuse a Tortora.
Un passo indietro: in casa del camorrista Giuseppe Puca fu trovata un’agendina nera che riportava a penna un numero di telefono e a fianco un nome, che ai magistrati sembrò quello del presentatore. Si scoprì poi che il nome appuntato non era Tortora bensì Tortona, e che il soggetto indicato era un sarto. L’uomo fu chiamato a deporre, spiegò che quel numero di telefono era della sua attività nel Casertano. «Ma il presidente del Tribunale più di una volta lo riprese dicendo ‘non sono sicuro che il numero sia suo’», ricorda Scopelliti. «E il teste gli rispose: ‘Se fa il numero e chiama, le rispondo io’. Insomma quel numero non fu mai chiamato». E nonostante ciò Tortora fu condannato.
«Quella sentenza era già scritta», insiste Scopelliti. Ed era già scritta, è il ragionamento dell’ex senatrice, perché il Tribunale dell’epoca si era appiattito sulle posizioni della procura. Posizioni, incalza Scopelliti, che i pm non intesero cambiare per via del clamore mediatico attorno alla vicenda.
«In una delle sue lettere, Enzo Tortora disse: ‘Per non perdere la faccia devono fottere me’. Aveva ragione – insiste l’ex senatrice – E io sono convinta che se Enzo Tortora non fosse finito in carcere, tutto questo non sarebbe accaduto. Ecco perché oggi dico che vanno posti dei limiti agli abusi alla custodia cautelare. Una volta arrestato Tortora, non si poteva più tornare indietro. Se io magistrato assumo un provvedimento di privazione della libertà, lo porto avanti per non perdere la faccia».
Ultimo tema strettamente collegato alla storia di Enzo Tortora è, per Francesca Scopelliti, la valutazione dei magistrati. «Io non credo che l’errore giudiziario possa essere riparato. Ma io voglio che non ci siano altri errori giudiziari. Questo è il vero risarcimento sociale. I magistrati che fanno questi errori non devono più fare carriera. Invece nel caso di Enzo Tortora tutti i magistrati che lo hanno accusato e quelli che lo hanno condannato hanno fatto carriera».
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martedì, 31 Maggio 2022 - 17:21
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