Caso Tortora, il racconto inedito di Morello: «Dopo l’assoluzione, molti colleghi di mio padre ci giravano la faccia»

Il giudice Tullio Morello (Foto di Giustizia News24)
di Manuela Galletta

E’ emozionato, Tullio Morello. Quando prende la parola nella sala Metafora del Tribunale di Napoli, la voce gli trema. E gli tremerà per tutta la durata dell’intervento, lasciando trasparire quell’umanità sincera che fa di Morello un giudice severo ma sempre attento agli ultimi e al rispetto delle regole e delle garanzie processuali.

Il caso Tortora è il fil rouge del convegno “Referendum Giustizia – Le ragioni a confronto” organizzato, per la giornata di ieri 31 maggio, dalla Camera penale di Napoli guidata dall’avvocato Marco Campora. Tra i relatori c’è Francesca Scopelliti, ex senatrice ma soprattutto compagna di Enzo Tortora. Lei, fiera sostenitrice dei ‘sì’ (che comporterebbero l’abrogazione delle norme oggetto dei quesiti), butta la palla nel campo della necessità di riformare la giustizia per fermare la deriva dell’errore giudiziario costato caro al suo compagno Enzo Tortora e lamenta, con parole durissime, la mancata intitolazione a Tortora del Palazzo di Giustizia di Napoli dove negli anni Ottanta si consumò «un crimine».

Morello, non a caso scelto come relatore dalla Camera penale, raccoglie con emozione l’assist, regalando un racconto a tratti inedito su uno spaccato del caso Tortora. Suo padre Michele fu l’estensore e il relatore della sentenza d’appello che mandò assolto Tortora, cancellando l’ignominia della condanna a 10 anni di reclusione inflitta il 17 settembre del 1985. «Da un lato avevo timore di accettare l’invito per rispetto a mio padre, che non ha mai voluto parlare in pubblico del processo Tortora, l’ha fatto solo una volta con Gianni Minoli. Dall’altro – osserva – mi piaceva l’idea di un contatto umano con la moglie di Tortora, con la quale, anche se in modo diverso, abbiamo vissuto dei periodi difficili in qualità di congiunti lei di un imputato e io di una persona chiamata a giudicare».

All’indomani della sentenza che restituì a Tortora la dignità e che in qualche modo riparò al torto subito, il giudice Morello e la sua famiglia si scontrarono con reazioni di silenziosa rabbia da parte di esponenti della magistratura. A dimostrazione che su quel processo pesava una pressione anomala. «Abbiamo vissuto mesi, forse anni dolorosi vedendo colleghi che prima ci salutavano quando di incontravano per strada e poi vedere che non ci salutavano e addirittura cambiavano marciapiede», racconta Morello con la voce tremante. Una sorta di isolamento cominciato già subito dopo la sentenza, quando il giudice Michele Morello finì sotto procedimento disciplinare per avere rilasciato un commento a un giornalista subito dopo la lettura della sentenza (e prima della scrittura della stessa). Al microfono, il giudice disse: «Abbiamo condannato chi andava condannato e abbiamo assolto chi andava assolto».

«Dopo pochi giorni – ricorda Morello – gli arrivò l’avviso del procedimento dicendo che aveva violato il segreto della camera di consiglio. Ebbene, mio padre venne chiamato dal presidente della Corte che di disse di dire qualcosa a sua discolpa per mandare atti a Roma. Lui disse: “Per me sono stato più lapalissiano di monsignor de La Palice”. Quel procedimento si estinse per prescrizione, perché non ebbero nemmeno il coraggio di archiviare nel merito».

Episodi forti che però, ricorda il giudice, «non hanno mai fatto cambiare idea a mio padre sulla giustizia, su quello che è la categoria della magistratura». «Avrebbe potuto dire quello che voleva, non l’ha fatto perché sente quello che è la difficoltà del giudicare. Bisogna essere superiori anche all’astio», osserva Morello, perché «dall’errore si può trarre insegnamento e migliorarsi».

E il discorso ritorna ancora sul caso Tortora: Morello si sofferma sui pm che istruirono l’inchiesta, ‘colpevoli’ a dire di Francesca Scopelliti di avere fatto carriera benché l’indagine si fosse rivelata un errore giudiziario. «L’errore va punito e queste sono battaglie sacrosante. Ma non va neanche buttato a mare tutto – dice – I due magistrati in questione sono stati grandissimi magistrati, amatissimi nei loro uffici. Io capisco il dolore che si prova quando una persona viene a mancare e le battaglie di principio sono sacrosante, però a volte dobbiamo anche sapere misurare».

Saper andare avanti, quindi. Senza però dimenticare, dando a fatti e persone il giusto valore. Di qui la proposta di Morello di intitolare a Enzo Tortora «l’aula bunker del carcere di Poggioreale dove ci fu il suo processo»: «Quell’aula è nelle stesse condizioni di allora, è un’aula nella quale si celebra la giustizia in maniera indecorosa e potrebbe essere un’occasione per recuperarla e renderla più dignitosa».

mercoledì, 1 Giugno 2022 - 08:08
© RIPRODUZIONE RISERVATA