La faida di Scampia e Secondigliano, quella scoppiata alla fine del 2004, ebbe inizio con lui. Ebbe inizio con la sua successione al soglio del potere criminale. Cosimo Di Lauro, figlio del boss Paolo, è morto questa mattina al carcere di Milano Opera dove era detenuto in regime di 41 bis dal 2005. Aveva 49 anni e stava scontando diverse condanne definitive, alcune delle quali per omicidio.
Di Lauro segnò una fase sanguinaria della faida con gli scissionisti, ricordata nella storia come seconda – per ferocia – alla guerra tra la Nuova Camorra Organizzata e la Nuova Famiglia. Con lui si è inaugurata la stagione delle vendette trasversali, degli omicidi di persone non inserite in contesti criminali ma colpite perché parenti dei rivali.
Di Lauro ha anche evitato condanne pesanti. Accusato di essere il mandante dell’omicidio di Gelsomina Verde, è stato dapprima condannato alla pena dell’ergastolo e poi si è visto annullare la sentenza. Mina Verde fu uccisa dal killer Ugo De Lucia perché si temeva che potesse rivelare a esponenti degli scissionisti i luoghi in cui, durante la faida, i ‘dilauriani’ stavano trovando riparo. Cosimo Di Lauro è uscito pulito anche da un altro processo, quello per l’omicidio di Attilio Romanò, vittima innocente della camorra. Romanò fu ucciso pochi giorni dopo l’arresto di Cosimo Di Lauro: stava lavorando nel negozio di telefonia mobile quando gli spararono. Al suo posto sarebbe dovuto morire il titolare del negozio (non inserito in contesti criminali), imparentato col ras scissionista, detenuto, Rosario Pariante.
Cosimo Di Lauro fu accusato di essere uno dei due mandanti del delitto (l’altro era il fratello Marco Di Lauro), perché aveva lasciato al fratello Marco – che prese il comando del clan – un elenco nel quale indicava i bersagli da colpire anche a seguito della sua cattura. E tra quei bersagli vi era il nipote di Pariante. Cosimo Di Lauro però fu assolto in primo grado e la procura non impugnò il verdetto, preferendo concentrarsi sulle accuse di mandante mosse a Marco Di Lauro.
Per anni Cosimo Di Lauro era rimasto immune dalle accuse di omicidio. A tenerlo bloccato in cella solo la prima contestazione di associazione di stampo mafioso, con l’aggravante di capo e promotore, che gli valse l’arresto nel gennaio 2005. Quell’accusa portò a una condanna, divenuta definitiva, superiore ai 10 anni di reclusione. Negli ultimi anni, anche grazie al pentimento di alcuni esponenti del clan Di Lauro, sono arrivate le accuse di omicidio che si sono tradotte in condanne. A fine marzo Cosimo Di Lauro è stato riconosciuto colpevole di avere ordinato gli omicidi di Raffaele Duro e Salvatore Panico (uccisi il 22 gennaio del 2004 a Mugnano), nonché l’omicidio di Federico Bizzarro, il capo zona di Melito ucciso il 27 aprile 204 in un hotel a Qualiano mentre era in compagnia dell’amante. La sentenza fu emessa dai giudici della seconda sezione della Corte d’Assise di Napoli.
Nel 2019 fu condannato, in primo grado, per l’agguato in cui morì Mariano Nocera, ritenuto affiliato alla famiglia scissionista degli Abbinante. L’omicidio si consumò il 2 settembre del 2004.
lunedì, 13 Giugno 2022 - 13:43
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