Candidati autorevoli, scelti dal basso rifuggendo la logica delle ‘primarie’ che sono «uno strumento funzionale a garantire a potentati elettorali la possibilità di sviluppare sui territori la possibilità di accrescere le clientele». Candidati «straordinari» cui spetterà un compito arduo e ampio: promuovere un modello sano di magistratura e associazionismo per archiviare la stagione della degenerazione delle correnti e sconfiggere «il demone del carrierismo» che si è insinuato nella categoria; «recuperare la fiducia della comunità» e «il dialogo» con pezzi della magistratura che ancora oggi hanno «la tentazione di chiudersi all’interno delle loro stanze» senza capire «che il dialogo, il confronto» sono «il migliore antidoto» per rimediare ai guasti provocati dalla «vicenda perugina». Ma soprattutto farsi interpreti di una campagna elettorale che «promuova progetti, programmi» e non «protezione per il futuro della carriera» del singolo magistrato.

Nella sala della Fondazione “Lelio e Lisli Basso» a Roma, il magistrato Stefano Musolino (nella foto) lancia la campagna elettorale di Magistratura Democratica per le elezioni del Consiglio superiore della magistratura in programma il 18 e il 19 settembre con il nuovo ‘sistema elettorale’ varato dalla riforma Cartabia. E lo fa sparando ad alzo zero nei confronti di alcuni dei gruppi rivali (di cui non fa i nomi): «Vedremo se alcuni gruppi continueranno a fare ancora campagna elettorale con telefonate nelle quali si parla di protezione e rassicurazioni per il futuro del singolo magistrati».
Per Md, storica corrente di sinistra, sarà una sfida in solitaria e da una posizione di minoranza: il gruppo non è più in sodalizio con ‘Area’, dalla quale ha preso le distanze per via di divergenze di vedute esplose con lo scandalo Palamara. E la fine del matrimonio porta anche spunti di critica e di dissenso verso l’unione passata.
Md, oggi, rinnega le ‘primarie’ come strumento di selezione dei candidati: «Abbiamo sperimentato le primarie quando eravamo dentro Area – spiega il segretario di Md Musolino – e abbiamo verificato che si tratta di uno strumento in realtà funzionale a garantire la possibilità a potentati elettorali che ci sono sui territori di sviluppare la capacità di accrescere clientele e proprio questo ci ha spinto a ritornare alla selezione dal basso». Ecco perché la selezione dei candidati che concorreranno per Md alle prossime elezioni è stata invece ispirata alla partecipazione senza steccati: «Abbiamo messo il maggior numero di candidati possibili e tutti quelli che si sono proposti sono oggi in campo». Tutti pronti a sfidarsi con un nuovo sistema (maggioritario con correttivo proporzionale) verso il quale Md però non nasconde le sue perplessità: «Rispettiamo le regole, ma crediamo che il proporzionale sarebbe stato il miglior antidoto a ciò che la vicenda perugina ha messo in evidenzia».
Tant’è: tra due mesi si vota per il rinnovo dei componenti togati del Csm (i posti sono 20) e Md ha formato la sua squadra che, ricalcando l’operazione dell’ottobre del 2019 in occasione delle suppletive al Csm, si è presentata con una conferenza stampa.

Elisabetta Tarquini, giudice del Lavoro a Firenze, corre nel collegio 2 dei giudici. E pone l’accento «sulle questioni legate all’uguaglianza di opportunità di magistrati e magistrate» ma anche sulle difficoltà degli uffici giudiziari medio-piccoli dove è forte il peso della perenne carenza di uomini e mezzi. «Sono in magistratura dal 1994, ho sempre fatto il giudice del Lavoro in Toscana. La mia è l’esperienza di tanti colleghi che lavorano in uffici medio-piccoli dove l’organizzino del lavoro è spesso complicata da carenze di organico e strutturali», spiega Tarquini. Nel suo curriculum anche lo studio del diritto antidriscriminatorio: «è uno strumento molto efficace per la tutela dei diritti delle persone, della diversità delle persone meno uguali degli altri». Nel suo Dna c’è l’attaccamento alla categoria e la difesa dei magistrati dai soprusi: «Mi sono iscritta a Magistratura democratica quando il difensore di un noto imputato chiese l’elenco di tutti i magistrati iscritti a Md. L’ho fatto perché pensai che, semmai quei nomi fossero stati resi noti, cosa che poi non fu, era giusto che ci fosse anche il mio, perché condividevo il pensiero e i valori di Magistratura democratica».

Nel collegio 2 dei giudici c’è anche Domenica Miele, presidente della seconda sezione penale della Corte di Appello di Napoli e già componente del Consiglio giudiziario di Napoli. Il magistrato, che ha speso molti anni della sua professione in sedi distaccate (sempre nel circondario napoletano e casertano) ma ubicate in territori ad alta densità criminale e dunque dove la domanda di giustizia era molto forte, la ricetta per una magistratura autorevole passa attraverso una «organizzazione efficiente del lavoro». Il magistrato, che ha speso molti anni della sua professione in sedi distaccate (sempre nel circondario napoletano e casertano) ma ubicate in territori ad alta densità criminale e dunque dove la domanda di giustizia era molto forte, la ricetta per una magistratura autorevole passa attraverso una «organizzazione efficiente del lavoro». Concetto che poggia sulla indispensabile qualità delle risorse di cui viene dotato un Tribunale, ma soprattutto sull’impegno dei singoli magistrati che spesse volte riescono a mettere una toppa alle carenze cui solo il ministero potrebbe porre rimedio. Non a caso nel suo intervento, il giudice Mimma Miele fa riferimento al Tribunale di Napoli dove lei ha lavorato per sei anni come presidente di sezione. «Sono arrivata qui ad un anno dalla sua nascita. Ricordo sempre un tribunale nato dal nulla e purtroppo con il nulla perché partito privo di risorse umane e materiali. E, tuttavia, siamo riusciti a dare un segnale forte di presenza dello Stato e della giurisdizione, in una terra martoriata dalla criminalità organizzata e dalla mancanza di lavoro, riuscendo a gestire processi oltremodo complessi, come quello sulla fazione del clan Zagaria di cui ho scritto le motivazioni della sentenza». La conclusione per Domenica Miele è che con «un’organizzazione efficiente del lavoro si può dare una risposta di giustizia efficace che i cittadini ci chiedono».

E’ in corsa per il collegio 2 dei giudici anche Valerio Savio, giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma e strenuo difensore dell’associazionismo sano e di un Csm forte e autorevole. «Credo nell’associazionismo perché mi ha molto aiutato, perché il confronto culturale aiuta sul lavoro, aiuta a fare meglio il proprio lavoro, aiuta a capire il linguaggio, le culture. E’ una cosa che arricchisce. Consiglio a tutti i giovani magistrati di impegnarsi nell’associazionismo e rivendico di averlo fatto con assoluto disinteresse professionale – spiega Savio, che in passato è stato anche nella dirigenza nazionale dell’Anm – Credo anche nel governo autonomo: adesso è facile attaccare il Csm e tutto il circuito del governo autonomo, ma mi sento di poter dire che con tutte le sue degenerazioni e i problemi, il governo autonomo ha svolto il suo ruolo di difendere l’esercizio autonomo e indipendente della giurisdizione. I magistrati della mia generazione hanno sentito alle loro spalle la tutela degli assetti costituzionali della giurisdizione e soprattutto del Csm». E oggi che associazionismo e Csm sono in profonda crisi, Savio scende in campo perché «credo di dover restituire qualcosa al governo autonomo ora che è sotto tiro, ora che è considerato un luogo di intrallazzi e di basso profilo. Ma non è così, non lo è mai stato anche nei momenti peggiori».

Per il collegio 4 dei giudici c’è invece Paolo Ramondino, giudice presso il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria. Nel suo cuore due grandi passioni: la Calabria, «terra molto più ricca e complessa» di quanto venga raccontato, «che ha grandi potenzialità e realtà che attuano queste potenzialità»; e la giurisdizione intesa non solo come repressione ma anche come sostegno. «Lo Stato non c’è solo nel momento della repressione ma anche nel momento in cui deve tendere una mano e sollevare da condizioni di deprivazione morale, affettiva e materiale», ha sottolineato Ramondino. Quindi un ringraziamento a Md che gli ha chiesto di scendere in campo: «Ho accolto questa proposta con grande favore perché Md, con queste candidature in particolare, ha dimostrato particolare sensibilità verso la giurisdizione e verso le varie forme di giurisdizione che esistono in questo paese».

Invoca una «giurisdizione efficace ed efficiente e che non sia aziendalistica», il giudice di Corte d’Assise Anna Mori, candidata per il collegio 3 dei giudici. «Mi piacerebbe che il magistrato fosse un magistrato non impiegato, quindi non arroccato su una posizione difensiva ma capace di metterci la faccia – dice – Mi piacerebbe una giurisdizione che guardi sempre quello che c’è oltre il numero del registro generale, quindi una persona, un dramma, una vicenda: ho sempre pensato che la giurisdizione è una forma di tutela del diritti per i più deboli, perché i più forti sono bravi a difendersi da soli. Mi piacerebbe, inoltre, un Csm che ci aiuti a recuperare una dimensione che abbiamo molto persone con il rischio che i colleghi, soprattutto giovani, crescano in questa visione da un lato aziendalistica e dall’altro burocratico-aziendalistica della giurisdizione». Esordi in magistratura da pm a Torino, Anna Mori lega la sua attività professionale all’Emilia Romagna «dove ho lavorato per 18 anni sempre nel settore penale» e con funzioni giudicanti. Dal 2011 l’ingresso come giudice in Corte d’Appello a Bologna e dunque in Corte d’Assise.

C’è il Csm al centro del discorso del presidente della prima sezione civile del Tribunale di Vicenza, Gaetano Campo, candidato nel collegio 1 dei giudici. Un Csm che si riprenda il suo ruolo. «La mia idea di autogoverno è quella che il Csm prenda in mano l’asse del governo della giurisdizione che in questi anni si sta spostando sempre di più verso un rapporto stretto tra i capi degli uffici giudiziari e il ministero – spiega Campo – L’abbiamo visto in tante esperienze, ma sempre di più con la giustizia dell’emergenza sanitaria e poi con il Pnrr. Il Csm deve operare una torsione rispetto a questo percorso, e deve svolgere i compiti che la Costituzione assegna, quindi promuovere un innalzamento del livello professionale della magistratura, sgombrare le zone d’ombra che alimentano il carrierismo e interpretazioni burocratiche, che costituiscono poi l’humus dei fenomeni degenerativi che sono alla base della questione morale che ha investito la magistratura. Io credo in un recupero di questa funzione molto importante». Il giudice chiude il suo intervento auspicando anche un modello di magistrato e di magistratura trasparente nel suo operato affinché si «dia conto alla collettività di come viene amministrata la giustizia in nome del popolo».

Sul fronte dei giudici di legittimità, Magistratura democratica cala l’artiglieria pesante. In magistratura dal 1993, Raffaello Magi – in Cassazione dal 2012 – mette in campo il suo bagaglio di esperienza maturata nei territori del Casertano ad altissima densità criminale, la sua sensibilità verso la tutela dei diritti e il peso di importanti decisioni assunte in Corte Suprema che hanno scritto pagine di storia giudiziaria. Basti pensare che Magi è stato estensore del provvedimento sul sovraffollamento carcerario che ha determinato lo spazio minimo intramurario. Anche sul fronte della criminalità organizzata, Magi ha lasciato il segno: nel lungo elenco di sentenze importanti soprattutto in materia di criminalità organizzata, spicca il fatto che fu lui l’estensore della sentenza al processo di primo grado denominato ‘Spartacus’ sul clan dei Casalesi. «Quella sentenza – commenta oggi Magi – ha rappresentato una svolta nella storia giudiziaria». Con questo curriculum di peso, Magi si candida oggi al Csm sottolineando che si farà portatore di «una cultura improntata al vero garantismo, intesa come diritti presi sul serio», il che è stata sempre la cifra del suo operato. «Vedo estremamente difficile lo scenario che ci si para davanti per la tutela dei diritti e per il mantenimento della cifra della qualità della giurisdizione – dice Magi motivando la ragione del suo impegno elettorale – E’ in atto una deriva aziendalista che vede coinvolti tutti i livelli dalla scala giuridisdizionale, dal primo grado alla Corte di Cassazione in cui ormai lo spazio di riflessione è riservato solo a momenti interni alla Cassazione a sezioni unite. In questo contesto il Csm deve raccogliere una sfida fondamentale: anzitutto una sfida di recupero di fiducia, di abbandono di logiche di gestione del potere fine a se stesso, di apparenza e in alcuni casi di collateralismo deteriore con l’esterno. Ma soprattutto si deve ricostruire il rapporto di fiducia e di prossimità con i magistrati che operano sui territori, anche attraverso le delibere, le missioni sul posto».
lunedì, 18 Luglio 2022 - 18:45
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