Racket a Miano, la denuncia del panettiere dietro gli 8 fermi. Il pm: «Il clan cambia volto, ma sul pane si paga sempre»

procura di napoli
Procura di Napoli (foto kontrolab)
di Giorgio Pari

Avrebbe pagato per anni il racket, poi non ce l’avrebbe fatta più, piegato dal caro-pizzo. Così un grossista del pane ha denunciato i presunti aguzzini, colpiti dal decreto di fermo a Miano, nella periferia nord di Napoli.

Nell’operazione di lunedì – condotta dai carabinieri della compagnia Vomero, e dai poliziotti della squadra mobile di Napoli e del commissariato Scampia – sono finiti in carcere Salvatore Di Vaio, 48 anni, detto Totore o’ Cavallo, Cesare Duro, 21 anni, Alessandro Festa, 24 anni, Cosimo Napoleone, 33 anni, Vincenzo Pagliaro, 20 anni, alias Vincenzo ‘o Pagliaro, Fabio Pecoraro, 26 anni, Giovanni Perfetto, 59 anni, detto ‘o mostr e Raffaele Petriccione, 25 anni, detto Raffaele ‘o pazz.

Il provvedimento – firmato dal pm Maria Sepe della Dda napoletana e dal procuratore capo facente funzioni Rosa Volpe – ipotizza l’estorsione aggravata dal metodo mafioso, ed è in attesa dell’udienza di convalida. Il commerciante, secondo le indagini, sarebbe «vittima sin dal 2017 di richieste estorsive da parte di diversi soggetti da lui conosciuti, riconducibili al clan Lo Russo e alle successive e recenti sottoarticolazioni della citata consorteria».

Ai Lo Russo, disarticolati dai pentimenti dei vertici, gli inquirenti ritengono organici Di Vaio e Perfetto, scarcerati rispettivamente il 2 aprile e il 24 marzo scorsi. «Da oggi in poi qua ci siamo noi e comandiamo noi» si sarebbe sentito dire commerciante, imponendo «il pagamento mensile di una somma di danaro sempre più esosa». Il ritocco della «tassa» sarebbe stato deciso «perché teniamo troppi carcerati da mantenere». Quindi la richiesta: «Ogni mese dovrai darci 5.000,00 euro per le mesate e 10 centesimi su ogni chilo di pane venduto». Alle obiezioni del panettiere, il gruppo di Miano avrebbe replicato «che se non avesse ottemperato lo avrebbero tolto da mezzo». Da parte sua, all’inizio, il commerciante non avrebbe pensato di denunciare. Al punto che la compagna, intercettata al telefono con un’amica, «le descrive il profondo senso di frustrazione» dell’uomo, «che ha notato che gli altri imprenditori che hanno denunciato hanno fatto tremare i criminali al punto che se ne sono andati non pretendendo più niente, ed invece lui continua a pagare senza rivolgersi alle forze dell’ordine e apprezzerebbe per questo maggiore comprensione nei suoi confronti». Ma alla richiesta ulteriori 2.000 euro mensili, il panettiere avrebbe preso coraggio, spinto dalla disperazione.

Il 5 luglio scorso, quindi, è andato dai carabinieri. Il denunciante «ha rappresentato che – si legge nel decreto di fermo – attualmente non lavora per nessuna impresa commerciale e la sua attività consiste nell’acquistare pane all’ingrosso e rivenderlo presso supermercati o altri esercizi commerciali per la gran parte ubicati nei quartieri di Marianella – Chiaiano — Piscinola e Miano con consegna diretta ai richiedenti; ha anche riferito che per poter svolgere questo tipo di attività comunemente soprannominata “Giro del pane” da sempre è stato costretto a pagare periodicamente una somma di danaro ai diversi soggetti che la richiedevano in qualità di emissari della organizzazione operante sui territori predetti». Tuttavia, «nell’ultimo periodo, la situazione era diventata insostenibile in quanto la somma di danaro richiesta era ingente e sproporzionata rispetto ai suoi guadagni, quindi temendo che se non fosse riuscito a farvi fronte avrebbero potuto fargli del male, si era deciso a denunciare».

Secondo la denuncia, «dal mese di febbraio 2022 dopo l’omicidio di Torre Pasquale e Di Napoli Giuseppe, (avvenuto il 31 gennaio 2022 in Via Don Luigi Guanella nei pressi dell’isolato 1), per poter continuare a distribuire il pane era costretto a pagare a due ragazzi di cui indicava i nomi, rispettivamente Cesare e Fabio, la somma di 3000 mila attraverso la sua compagna». Il commerciante racconta che i due «un giorno a febbraio avevano avvicinato la donna in via Antonio Labriola dicendole che da quel momento sui territori di Miano, Chiaiano, Marianella e Piscinola avrebbero comandato loro e le avevano intimato di riferirgli che “per stare tranquillo» avrebbe dovuto dare loro ogni fine mese 3.000,00 euro, quale dazio sulla sua attività lavorativa per «le mesate alle mogli dei carcerati». La donna «gli aveva riportato l’ambasciata e nei mesi di febbraio e marzo 2022 si era anche personalmente occupata della consegna del danaro incontrando i due ragazzi». I pagamenti sarebbero andati avanti fino all’ultima mazzata, quando alla compagna del commerciante avrebbero comunicato «che d’ora in poi avrebbe dovuto pagare agli estorsori un pizzo” maggiorato, pari “a circa 2.000,00 ulteriori euro mensili».

Peraltro, nel decreto di fermo della Dda di Napoli, si evidenzia che «l’attività impositiva del pane (…) è una costante del Clan Lo Russo», alias i Capitoni. «Nell’ambito del procedimento n 9674/14 con OCC n. 277/16 (cui ha fatto seguito la sentenza n 983/17 e n.6413/07 ) – si legge – si è accertato come Carlo Lo Russo acquisita la consapevolezza che l’attività di imposizione del pane veniva svolta in nome dei capitoni senza che egli stesso o comunque le casse del clan ne beneficiassero, convocò gli irresponsabili e riorganizzò l’attività estorsiva in argomento in modo da garantire adeguate entrate per il clan». L’anno è il 2015, «quando le indagini hanno consentito di ricostruire l’imposizione del pane da parte di panifici riconducibili al clan Lo Russo (Oro Bianco, Antico Panificio srl, Corbar di Lombardi Antonio e c. s.a.s.) oggetto di sequestro da parte del Gip e successivamente confiscati con le sentenze richiamate».

«Ricostruito il segmento di operatività del clan (…) relativo alla reggenza da parte di Carlo Lo Russo – rievoca il provvedimento – si è avuta la prova che per anni, molti esercizi commerciali, ed in quel periodo anche i grossi centri commerciali (Deco’) ed i venditori ambulanti della domenica avevano l’obbligo di vendere esclusivamente il pane che era stato loro fornito da laboratori facenti capo al clan dei Capitoni». Secondo gli investigatori, «analogamente nei procedimenti (…) aventi ad oggetto le sotto articolazioni di Abbasc Miano, guidata da Balzano Matteo e di Ngopp Miano, guidata dai cugini Cifrone, le indagini» avrebbero «provato che in quel lasso temporali i negozi di alimentari ed i venditori ambulanti avevano l’obbligo di vendere esclusivamente il pane che era stato loro fornito dal laboratorio/panificio “la Boutique del Pane” nella disponibilità di Tipaldi Gaetano, dirigente insieme con Cifrone Luigi e Cifrone Gaetano del gruppo cd. “di Ncopp Miano” (…), almeno a far data dal giugno (arresto di Carlo Lo Russo e degli altri affiliati».

Per la Dda di Napoli, la conclusione è sconsolante. «Ora come allora la storia si ripete – rimarca la Procura – sono cambiati gli assetti organizzativi ed i soggetti, ma resta sempre la necessità di un guadagno fisso e di un vantaggio economico per l’organizzazione, garantiti dalla vendita di rilevanti quantitativi di pane, bene di largo consumo». E «nonostante i provvedimenti cautelari-personali e reali adottati, nonostante le condanne, a Miano, Chiaiano, Piscinola e Marianella per vendere il pane si continua a pagare».

giovedì, 28 Luglio 2022 - 08:27
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