Costringe la ex a tatuarsi il suo nome sul volto: condannato in Cassazione

Cassazione

Condanna definitiva a sei anni e otto mesi di reclusione per il 41enne accusato di aver deturpato il viso della ex costringendola a farsi tatuare il suo nome sul viso. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna mettendo la parola fine sulla vicenda che ha coinvolto una donna costretta, nel corso della loro breve relazione, a tatuarsi il viso.

I fatti risalgono al dicembre del 2019; la coppia, dopo l’incontro sui social, aveva deciso dopo poco di andare a convivere nell’hinterland di Roma. Una convivenza rivelatasi sin da subito difficile, e presto diventata un inferno per la ragazza che veniva picchiata e maltrattata; in una occasione, fu costretta a farsi tatuare sulla faccia. Peraltro il tatuatore non sapeva che non vi fosse consenso da parte della ragazza che a fine seduta aveva sul viso il nome dell’ex, una lacrima e una croce.

Il 41enne era stato condannato con rito abbreviato in primo grado dal Gup del Tribunale di Velletri e poi – il 19 febbraio 2021 – dalla Corte di Appello di Roma. La Cassazione ha sottolineato che anche se si è trattato di un breve periodo di convivenza, il rapporto tra i due è stato “intenso e stabile” e dunque è potuta scattare l’accusa di maltrattamenti in famiglia che ha reso possibile perseguire d’ufficio il 41enne. La vittima infatti per paura di altre violenze non aveva denunciato il convivente, ma quando lui ha iniziato a picchiarla in un locale pubblico, sono intervenute le forze dell’ordine e sono emersi i maltrattamenti precedenti.

L’uomo, che è in carcere a scontare la sua pena, è stato condannato anche per lesioni aggravate e per aver deformato l’aspetto della fidanzata “mediante lesioni permanenti al viso”, reato perseguito dall’articolo 583 quinquies del codice penale messo in campo nel 2019 contro le aggressioni con l’acido corrosivo e inserito in un pacchetto di norme contro la violenza domestica e di genere. «In particolare – scrive la Cassazione – il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso sarebbe stato commesso inducendo in errore l’esecutore materiale di alcuni tatuaggi impressi al volto della vittima, circa la sussistenza del consenso di quest’ultima».

La difesa dell’imputato sosteneva la non configurabilità del reato di maltrattamenti dato che «non vi sarebbe stato alcuno stabile rapporto di continuità familiare né alcun legame di reciproca assistenza per un apprezzabile periodo di tempo: la relazione tra i due sarebbe durata solo quattordici giorni». Ad avviso della Suprema Corte, invece, «emerge che il rapporto tra i due, pur non essendo durato a lungo, è stato intenso e stabile e che la coppia progettava di prolungare la vita in comune». Così il ricorso del 41enne è stato respinto con condanna alle spese processuali e a pagare 3510 euro per la difesa della parte civile.

martedì, 27 Settembre 2022 - 11:19
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