Caso Cucchi, le durissime motivazioni della sentenza di condanna: «Carabinieri depistarono per salvarsi la carriera»

Stefano Cucchi

Uno schiaffo ai vertici dell’Arma è quello che arriva dalla lettura delle motivazioni della sentenza di condanna di 8 carabinieri per i depistaggi successivi alla morte di Stefano Cucchi. Dopo i rituali 90 giorni le motivazioni dei giudici del Tribunale di Roma sono state pubblicate e in esse si legge che sulla morte del geometra romano, avvenuta nell’ottobre del 2009 a sette giorni dall’arresto, i carabinieri avrebbero «confezionato» una versione così da escludere il coinvolgimento dei militari e da non minare l’immagine e la carriera dei vertici territoriali e, in particolare, del comandante del Gruppo Roma, Alessandro Casarsa. Su quest’ultimo il giudice scrive: «Il disvalore del fatto delittuoso e la lesione al bene della fede pubblica, ai riflessi che ha avuto nella reale ricostruzione della vicenda, il danno arrecato all’Arma dei carabinieri, alla personalità dell’imputato che, a dispetto del giuramento prestato e della sua qualità di ufficiale dei  carabinieri, con il ruolo di Comandante del Gruppo Carabinieri Roma, ha concepito e determinato le condotte di falso, dell’intensità del dolo che emerge da quanto accertato».

Il generale Casarsa è stato condannato a cinque anni, mentre un anno e tre mesi è stata la condanna inflitta al colonnello Lorenzo Sabatino, 4 anni a Francesco Cavallo e Luciano Soligo, un anno e 9 mesi a Tiziano Testarmata, 2 anni e 6 mesi a Luca De Cianni, 1 anno e 3 mesi a Francesco Di Sano e un anno e 9 mesi a Massimiliano Colombo Labriola. Agli imputati, a seconda delle posizioni, si contestavano i reati di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia.

Leggi anche / Il caso Cucchi, tutti gli articoli di GN24.it

Nelle motivazioni il giudice scrive esplicitamente di «attività di sviamento» posta in essere subito dopo la morte di Stefano per «allontanare i sospetti che ricadevano sui carabinieri per evitare le possibili ricadute sul vertice di comando del territorio capitolino». Rimanda poi alle «ulteriori condotte» poste in essere sei anni dopo, ovvero nel 2015 quando partirono nuove indagini della Procura di Roma: condotte che dovevano riuscire «a celare quelle di falso risalenti al 2009 considerata la qualità dei protagonisti e dei rapporti tra alcuni di loro, e che i fatti risalenti al 2018, nel corso del dibattimento del cosiddetto Cucchi bis, avessero lo scopo di svilire la credibilità di Riccardo Casamassima, teste rilevante per l’ipotesi accusatoria».

In questo modo, ovvero sviando i sospetti dai carabinieri, l’azione dei vertici del Comando Gruppo Carabinieri Roma non si sarebbe potuta mettere in discussione. «Tutti gli imputati – si legge nelle motivazioni – avevano la consapevolezza che attraverso le condotte da ciascuno poste in essere, si giungeva alla modifica e all’alterazione del contenuto delle annotazioni, consentendo così di rappresentare un Cucchi che stava male di suo, perché molto magro, tossicodipendente, epilettico».

mercoledì, 5 Ottobre 2022 - 08:14
© RIPRODUZIONE RISERVATA