Napoli, le mani dei clan sugli ospedali: chiesti circa 3 secoli di reclusione, proposte pene fino a 20 anni

Esterno edificio della procura della repubblica di Napoli (foto Kontrolab)

Inchiesta sulle infiltrazioni dei clan negli appalti di diversi ospedali della città di Napoli, chieste 32 condanne e un’assoluzione.

Questa mattina il pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Napoli Henry John Woodcock ha tirato le somme dell’inchiesta che ha messo a nudo gli interessi della malavita organizzata nei nosocomi già importanti della città e che il 22 ottobre del 2021 sfociò in una raffica di arresti: complessivamente sono stati proposti circa 300 anni di reclusione, con pene che oscillano tra i 4 e i 20 anni di reclusione. Numeri altissimi se si considera che il processo si sta svolgendo dinanzi al giudice per le indagini preliminari Anna Imparato con la modalità de rito abbreviato, formula che in caso di condanna prevede lo sconto di un terzo della pena. 

Tra i nomi di spicco che emergono dalla rosa degli imputati vi sono quelli del boss pentito Luigi Cimmino, nei confronti del quale sono stati proposti 9 anni, e del figlio Franco Diego, che rischia 14 anni. La richiesta avanzata per l’ormai ex boss Cimmino ha tenuto conto del contributo dichiarativo dell’imputato. Cimmino, ad esempio, ha riferito che «tutte le ditte che lavorano presso gli ospedali pagano l’estorsione», spiegando che l’imposizione della tangente non si esplicitava attraverso la richiesta di una somma di denaro. «Quando una ditta si aggiudica un appalto – ha raccontato l’ex boss – o subentra al posto di un’altra, viene effettuata la richiesta estorsiva. Il nostro clan, oltre a pretendere il pagamento di somme di denaro, in genere ripartite in tre tranche, tre volte l’anno, pretende anche un certo numero di posti di lavoro. Una parte può essere riservata ai nostri parenti o amici, gli altri vengono venduti». «Un posto di lavoro costava tra i 20mila e i 25mila euro», ha aggiunto Cimmino, ed «è il clan che vende il posto di lavoro, nel senso che, una volta chiusa l’estorsione e avuti a disposizione i posti», l’intermediario dell’organizzazione «lo comunica» agli altri vertici della cosca «e si decide quanti posti vendere». 

Inchiesta sulle infiltrazioni dei clan negli appalti di diversi ospedali della città di Napoli, chieste 32 condanne e un’assoluzione. Questa mattina il pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Napoli Henry John Woodcock ha tirato le somme dell’inchiesta che ha messo a nudo gli interessi della malavita organizzata nei nosocomi già importanti della città e che il 22 ottobre del 2021 sfociò in una raffica di arresti: complessivamente sono stati proposti circa 300 anni di reclusione, con pene che oscillano tra i 4 e i 20 anni di reclusione. Numeri altissimi se si considera che il processo si sta svolgendo dinanzi al giudice per le indagini preliminari Anna Imparato con la modalità de rito abbreviato, formula che in caso di condanna prevede lo sconto di un terzo della pena. 

Tra i nomi di spicco che emergono dalla rosa degli imputati vi sono quelli del boss pentito Luigi Cimmino, nei confronti del quale sono stati proposti 9 anni, e del figlio Franco Diego, che rischia 14 anni. La richiesta avanzata per l’ormai ex boss Cimmino ha tenuto conto del contributo dichiarativo dell’imputato. Cimmino, ad esempio, ha riferito che «tutte le ditte che lavorano presso gli ospedali pagano l’estorsione», spiegando che l’imposizione della tangente non si esplicitava attraverso la richiesta di una somma di denaro. «Quando una ditta si aggiudica un appalto – ha raccontato l’ex boss – o subentra al posto di un’altra, viene effettuata la richiesta estorsiva. Il nostro clan, oltre a pretendere il pagamento di somme di denaro, in genere ripartite in tre tranche, tre volte l’anno, pretende anche un certo numero di posti di lavoro. Una parte può essere riservata ai nostri parenti o amici, gli altri vengono venduti». «Un posto di lavoro costava tra i 20mila e i 25mila euro», ha aggiunto Cimmino, ed «è il clan che vende il posto di lavoro, nel senso che, una volta chiusa l’estorsione e avuti a disposizione i posti», l’intermediario dell’organizzazione «lo comunica» agli altri vertici della cosca «e si decide quanti posti vendere». 

La pena più alta, 20 anni di reclusione (il massimo possibile alla luce del rito abbreviato), è stata invece sollecitata per Andrea Basile, che aveva preso in mano le redini del clan Cimmino all’indomani della detenzione del boss Luigi. 

Le richieste di condanna avanzate dalla procura:
Arena Salvatore 15 anni
Basile Andrea 20 anni
Brandi Ciro 4 anni
Caruson Giovanni 18 anni
Cifrone Gaetano 6 anni e 6 mesi
Cimmino Franco Diego 14 anni
Cimmino Luigi 9 anni
Cirella Giovanni 7 anni e 6 mesi
D’Andrea Sergio 12 anni
De Luca Antonio anni 6 mesi 6
Esposito Alessandro 10 anni
Esposito Anna 14 anni
Esposito Renato assoluzione
Ferraiolo Luigi 6 anni e 6 mesi
Fiore Eduardo 11 anni e 10 mesi
Fioretto Cosimo 6 anni
Frizziero Salvatore 4 anni e 6 mesi
Gargiulo Domenico 15 anni
Grimaldi benito 7 anni e 6 mesi
Luongo francesco 6 anni e 6 mesi
Martino Gaetano 10 anni
Napoli Giovanni 9 anni
Pellecchia Salvatore 16 anni
Pesce Antonio 4 anni e 6 mesi
Pone Vincenzo 12 anni
Rigione Fabio 7 anni e 6 mesi
Russo Mariangela 5 anni
Sacco Raffaele (classe ‘77) 10 anni
Sacco Raffaele (classe ‘68) 10 anni
Simeoli Mario 14 anni
Somma Rosario 12 anni
Teano Andrea 10 anni
Visone Luigi 6 anni e 6 mesi

venerdì, 14 Ottobre 2022 - 14:07
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