Pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, al via il processo: 105 alla sbarra accusati di violenze e torture

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I pestaggi ai danni di alcuni detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere nell'aprile del 2020

Ha preso le mosse ieri il maxi processo per le violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere avvenute il 6 aprile del 2020 nell’istituto di pena Francesco Uccella. La prima udienza del procedimento che vede 105 persone imputate, è iniziato presso l’aula bunker del carcere sammaritano; al banco degli imputati siedono poliziotti penitenziari, funzionari medici e dell’Amministrazione Penitenziaria – a cui si contestano, a vario titolo, una lunga serie di reati: tortura, omicidio colposo come conseguenza di tortura (reato contestato solo a ventidue imputati), lesioni pluriaggravate, abuso di autorità, falso in atto pubblico. Novantanove, invece, le parti civili già costituitesi nell’udienza preliminare (quattro associazioni e 95 detenuti dei 177 identificati come parti offese) con oltre 300 avvocati che oggi hanno riempito parte della aula B2, i cui lavori di ristrutturazione sono terminati nei giorni scorsi.

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Molti gli imputati presenti, tutti arrivati alla spicciolata, spesso insieme per darsi forza a vicenda, qualcuno con i propri avvocati. Mancavano l’ex provveditore regionale alle carceri Antonio Fullone e il capo del Nucleo di Pronto Intervento Pasquale Colucci, il primo ritenuto dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere la mente dell’operazione che si è poi trasformata, per usare le parole del giudice per le indagini preliminari, in «una mattanza»; il secondo, invece, sarebbe colui che la gestìsul campo. Presente anche qualche vittima, tra cui i parenti del detenuto Vincenzo Cacace (deceduto nel giugno scorso), il carcerato sulla sedia a rotelle immortalato dalle telecamere interne mentre viene malmenato dagli agenti: la figlia Antonella, la madre e il fratello hanno proseguito la battaglia giudiziaria iniziata dal papà con la costituzione di parte civile nell’udienza preliminare, e oggi si sono presentati all’aula bunker.

«Giustizia per mio padre e tutti i detenuti picchiati selvaggiamente» ha chiesto Antonella. Tutti presenti i pubblici ministeri di Santa Maria Capua Vetere che hanno indagato sulle violenze: c’era il procuratore aggiunto Alessandro Milita, da poco trasferito a Napoli con lo stesso ruolo, anche se continuerà a seguire il maxi-processo, e i sostituti procuratori Alessandra Pinto e Daniela Pannone.

Il presidente della Corte d’Assise Roberto Donatiello ha impiegato circa due ore per fare l’appello delle oltre 200 parti processuali, tra imputati e parti civili, quindi altri 26 detenuti identificati come vittime, oltre all’associazione “Italiastatodiritto”, hanno chiesto di potersi costituire. E’iniziata quindi la serie delle richieste preliminari da partedegli avvocati, su cui la corte scioglierà la riserva nella prossima udienza del 14 dicembre, così come deciderà sull’istanze di costituzione di parte civile. Giuseppe Stellato, legale di alcuni degli “imputati di peso” come l’ex comandante della polizia penitenziaria del carcere Gaetano Manganelli e il sovrintendente Salvatore Mezzarano, ha chiesto di escludere dal processo il Ministero di Grazia e Giustizia e i garanti dei detenuti. «La posizione del Ministero – ha detto il legale – che compare sia come parte civile sia come responsabile civile è ambigua. Anche i garanti nazionale e regionale vanno esclusi: non sono enti e non sono quindi legittimati a richiedere un risarcimento»; Stellato ha anche eccepito la nullità del decreto di rinvio a giudizio per violazione “del diritto alla difesa”.

Elisabetta Carfora, difensore di altri agenti, ha invece sollevato eccezione di incompetenza della Corte d’Assise, con richiesta di spostamento del processo al tribunale per quelle posizioni non connesse al reato di tortura con l’aggravante della morte, fattispecie che ha determinato la competenza dell’Assise in relazione alla morte del detenuto algerino Lamine.

martedì, 8 Novembre 2022 - 10:29
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