Detenuti distillano grappa in cella, poi scatenano rissa e incendio: 6 agenti penitenziari intossicati

Carcere

Una distilleria artigianale messa in piedi in cella; il frutto del certosino lavoro di due detenuti si è tramutato in grappa che, bevuta avidamente sino a portarli all’ubriachezza, ha causato la rissa poi bloccata dagli agenti di polizia penitenziaria. L’episodio è accaduto nel carcere di Terni ed è stato segnalato dal sindacato della polizia penitenziaria Sappe.

Stando a quanto ricostruito, i due detenuti usando frutta macerata avevano prodotto la grappa, subito dopo, palesemente ubriachi, avevano iniziato a darsela di santa ragione. Uno dei detenuti ha dato fuoco alla cella e causato l’intossicazione di sei appartenenti al corpo di polizia penitenziaria.

    Fabrizio Bonino, segretario per l’Umbria del Sappe in una nota esprime «la propria solidarietà agli agenti feriti e contusi nel carcere ternano e auspica che il prima possibile si intervenga sulle aggressioni al personale di polizia penitenziaria oramai saturo di ciò che sta subendo».

 «A questo hanno portato questi anni di ipergarantismo nelle carceri – sostiene il segretario generale del sindacato Donato Capece -, dove ai detenuti è stato praticamente permesso di autogestirsi con provvedimenti scellerati a pioggia come la vigilanza dinamica e il regime aperto, con detenuti fuori dalle celle pressoché tutto il giorno a non fare nulla nei corridoi delle sezioni. E queste sono anche le conseguenze di una politica penitenziaria che invece di punire, sia sotto il profilo disciplinare che penale, i detenuti violenti, non assume severi provvedimenti. Le idee e i progetti dell’amministrazione penitenziaria, in questa direzione, si confermano ogni giorno di più fallimentari e sbagliati».

«La grappa fatta in cella da detenuti a Terni non rappresenta purtroppo l’unica distilleria artigianale nei penitenziari – aggiunge Aldo Di Giacomo, segretario del sindacato S.Pp. – Nelle carceri italiane sarebbero circa il 20% le persone con problemi di alcol correlati tra le oltre 50mila persone ristrette, pari ad un numero vicino alle 10mila unità».

«La fabbricazione di alcool in cella non è un mistero – continua –  salvo a scoprirlo solo in occasione di fatti di cronaca come quello di Terni. Innanzitutto, emerge la necessità di attrezzarsi con strumenti di rilevazione epidemiologica semplici e generalizzabili a tutti gli Istituti di pena italiani e a tutta l’Area penale, tali da permettere l’acquisizione di consapevolezza istituzionale e di attivare forme di intervento e trattamento dei detenuti con problemi di alcol. Diventa urgente tra i programmi di assistenza sanitaria carceraria, che sono fermi agli anni novanta per carenza di personale e strumentazioni, la sensibilizzazione-formazione del personale periferico dell’amministrazione giudiziaria e i gruppi di trattamento degli alcolisti detenuti».

lunedì, 28 Novembre 2022 - 11:18
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