Omicidio Yara, indagata il pm che coordinò l’indagine: accuse per i campioni di Dna deteriorati

Yara Gambirasio

Il caso della morte di Yara Gambirasio prende una piega inaspettata. Il pubblico ministero Letizia Ruggeri, titolare delle indagini sull’omicidio della 13enne di Brembate, finisce sotto inchiesta per frode processuale e depistaggio.

A ordinare le indagini è stato il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia, Alberto Scaramuzza, chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di archiviazione del fascicolo a carico del presidente della Corte d’Assise di Bergamo e di una cancelleria; avverso la richiesta di archiviazione avevano presentato opposizione gli avvocati di Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara. Ebbene, nel decidere il da farsi il gip ha intimato al pm di condurre nuove indagini e di indagare il pm Ruggeri per due accuse pesantissime.

Le contestazioni sono legate alla conservazione di 54 reperti con tracce di Dna che, di fatto, rappresentarono l’architrave dell’impianto accusatorio a carico del muratore di Mapello: da quei reperti fu estratto il Dna di Ignoto 1 che poi portò alla condanna di Bossetti.

Quei reperti furono spostati dal San Raffaele di Milano, dove erano conservati, all’ufficio Corpi di Reato del tribunale di Bergamo. I reperti vennero portati via dall’ospedale milanese il 21 novembre 2019, arrivando nell’ufficio del tribunale il 2 dicembre. Durante quel periodo, spiega l’avvocato Claudio Salvagni (legale di Bossetti), i reperti vennero conservati correttamente: è nel passaggio all’ufficio Corpi di reato che si sarebbe interrotta la catena del freddo, di fatto causando la loro distruzione. Secondo il legale, dunque, bisognerà capire se l’ordine di Ruggeri di spostare i campioni di dna, era legittimo anche perché, ricorda ancora l’avvocato, il 15 gennaio 2020 arrivò un provvedimento di confisca degli stessi reperti che quindi non sarebbero dovuti essere distrutti.
«Resto francamente sorpreso che dopo 3 gradi di giudizio, dopo 7 rigetti dei giudici di Bergamo sia all’analisi che alla verifica dello stato di conservazione dei reparti e dei campioni residui di dna, dopo che nei tre gradi di giudizio era stata respinta la richiesta difensiva di una perizia sul Dna, dopo la definitività della sentenza sopravvenuta nell’ottobre 2018 che ha accertato la colpevolezza dell’autore dell’omicidio di Yara, e dopo che era passato più di un anno da tale definitività, si imputi ora al pm il depistaggio in relazione alla conservazione delle provette dei residui organici, rimasti regolarmente crioconservati in una cella frigorifera dell’istituto San Raffaele fino a novembre 2019, quindi oltre un anno dopo il passaggio in giudicato della sentenza della condanna, e solo successivamente confiscati come prevede il codice di procedura», ha commentato il capo della procura della Repubblica di Bergamo Antonio Chiappani. «Il provvedimento di Venezia arriva dopo che per altre due volte la corte d’Assise di Bergamo aveva negato ai difensori l’accesso a tali provette e dopo che la procura di Venezia aveva chiesto l’archiviazione della posizione del presidente della Corte d’Assise di Bergamo e di una cancelliera a seguito della denuncia per depistaggio», ha ricordato il procuratore Chiappani.

Yara Gambirasio scomparve il 26 novembre del 2010 e fu trovata, tre mesi dopo, morta in un campo.

giovedì, 29 Dicembre 2022 - 21:51
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