Diffamò il procuratore Murone, de Magistris condannato in appello

Luigi de Magistris
Il sindaco di Napoli Luigi de Magistris (foto Kontrolab)

Una condanna penale ad una multa ed al risarcimento civile per Luigi de Magistris, ex sindaco di Napoli ed ex pm. La Corte di Appello di Catanzaro – come già il Tribunale di Lamezia in primo grado – lo ha ritenuto colpevole di diffamazione nei confronti di Salvatore Murone, ex procuratore aggiunto di Catanzaro.

I fatti riguardano alcune dichiarazioni di de Magistris del 9 marzo del 2017, durante una puntata di “Piazza Pulita” su La7. Parlando dell’inchiesta “Why Not?” da lui condotta come sostituto procuratore di Catanzaro, disse: «Quella inchiesta non fu portata a termine proprio perché fummo fermati da un sistema criminale fatto di pezzi di politica, pezzi di Magistratura e pezzi istituzionali, a danno di presunti colpevoli e dei presunti innocenti, perché se tu fermi un ‘indagine…è venuto fuori chiaramente che mi sono state scippate le inchieste e che le inchieste non dovevano essere scippate…».

Per i giudici della Terza Sezione Penale della Corte d’Appello di Catanzaro, «ritenuta in tal senso individuabile la persona offesa, non v’è dubbio circa la natura diffamatoria delle affermazioni dell’imputato (…). I fatti per cui si procede sono certamente connotati da un elevato livello di gravità, essendosi sostanziati in precisi addebiti mossi ai magistrati coinvolti nella vicenda, e quindi anche all’odierna parte civile, facendo riferimento ad ‘un sistema criminale fatto di pezzi di Magistratura’». In particolare, «deve ritenersi che le espressioni utilizzate – scrivono i giudici – non rispettino il requisito della c.d. continenza verbale, necessario affinché i fatti oggetto dell’odierno processo possano ritenersi scriminati dall’esercizio del diritto di critica».

Inoltre, «le espressioni utilizzate ‘indagini scippate’ e ‘sistema criminale fatto di pezzi di magistratura’» sono state «rese assolutamente fuori contesto». Si tratta, quindi, di «esternazioni assolutamente gratuite e non supportate da alcuna specificazione tale che potesse rendere maggiormente fruibile l’argomento alla gran parte degli utenti televisivi». Nelle motivazioni, la Corte rileva che «le condotte in questione appaiono inoltre, anche sotto il profilo soggettivo, espressione di un dolo molto intenso, proprio perché commesse con modalità palesemente sfrontate, mediante l’accurata, intenzionale ricerca, nella esposizione dei fatti, di frasi ed espressioni ad effetto, volutamente offensive, del tutto sganciate dall’esigenza di narrazione obiettiva dei fatti e, quindi, palesemente tese a riversare sui magistrati coinvolti, e quindi anche sull’odierna parte civile, un unanime giudizio di riprovazione e severa condanna».

Il collegio, ribadita «dunque la particolare gravità dei fatti per cui si procede, alla luce del tenore delle accuse», ritiene «che i fatti in questione non sono scriminati dall’esercizio del diritto di critica, ma rientrano nell’ambito di applicazione della fattispecie delittuosa contestata». Infine, la sanzione. «In punto di commisurazione della pena – spiega la sentenza -, tenuto conto delle circostanze attenuanti generiche per come già concesse dal primo giudice, e i criteri di cui all’art. 133 c.p., nonché l’indicata gravità del fatto, appare equo tassare la pena in euro 1.000,00 di multa (pena base 1.500,00 di multa, ridotta di un terzo per le circostanze generiche). Vanno quindi confermate le statuizioni accessorie, ivi compresa la condanna al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile».

martedì, 17 Gennaio 2023 - 22:00
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