Nel caso della Juventus saremmo di fronte a un «illecito grave e reiterato che ha influito sul risultato sportivo». In 36 pagine di motivazioni, la Corte federale d’appello Figc (Caf), a sezioni unite, spiega la condanna inflitta al club bianconero nel processo plusvalenze bis. Ovvero, i 15 punti di penalizzazione in classifica, sanciti nella sentenza del 20 gennaio.
Da oggi, con la pubblicazione delle motivazioni, la società ha 30 giorni per ricorrere al Collegio di Garanzia dello Sport del Coni. Il terzo e ultimo grado – una sorta di “Cassazione” della giustizia sportiva -, non potrà entrare nel merito della sentenza, e quindi ridurre o aumentare la sanzione. Essendo giudice di legittimità, avrà il potere di rilevare eventuali vizi di forma o violazioni normative, rimandando l’atto alla Corte d’Appello, per una nuova determinazione. L’udienza dovrebbe essere fissata nel giro di un paio di settimane, potrebbe tenersi tra fine febbraio e inizio marzo.
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Intanto, le motivazioni contengono diverse risposte, agli interrogativi sorti alla lettura della sentenza. Anzitutto, la condanna della sola Juventus, e dei suoi dirigenti, a fronte del proscioglimento di altri 8 club coinvolti (Sampdoria, Pro Vercelli, Genoa, Parma, Pisa, Empoli, Novara e Pescara), e dei rispettivi quadri societari. «Appare inevitabile – scrivono i giudici federali – tenere distinte le posizioni riguardanti la FC Juventus S.p.A. rispetto alle altre squadre. La ragione della necessaria distinzione di merito riposa, ed è considerazione sin troppo ovvia, nella circostanza che la FC Juventus S.p.A. e i relativi amministratori e dirigenti sono stati oggetto di diffuse e ripetute evidenze dimostrative prodotte dalla Procura federale. Evidenze che connotano un canone di comportamento sistematico e non isolato».
Dunque, per il club degli Agnelli-Elkann, le plusvalenze sarebbero l’architrave di un ‘sistema’, non una condotta occasionale. A differenza di altre società. «Può accadere, per le ragioni più disparate – sostiene la Corte -, che si assista ad una operazione atipica, una tantum . Ma non può accadere che sistematicamente sia invertito il processo, come invece emerge dal nuovo quadro probatorio disponibile». Ecco, i nuovi elementi: sono uno snodo cruciale. Grazie ad essi, si è ribaltata una sentenza assolutoria, pronunciata lo scorso maggio. E si giunti alla condanna della Juventus e di 11 dirigenti bianconeri (30 mesi a Paratici, 24 mesi ad Agnelli e Arrivabene, 16 mesi a Cherubini, 8 mesi a Nedved, Garimberti, Vellano, Venier, Hughes, Marilungo e Roncaglio). Un capovolgimento reso possibile dalla revocazione del primo verdetto.
La Corte Federale ha ammesso il ricorso della Procura Figc, basato sulle carte della giustizia ordinaria. Vale a dire l’inchiesta “Prisma” dei pm di Torino, per la quale il 27 marzo è in calendario l’udienza preliminare. Gli inquirenti chiedono il rinvio a giudizio di 12 persone, tra cui l’ex presidente Andrea Agnelli. In attesa del gup, il fascicolo giudiziario ha impresso una svolta al processo sportivo. «È indiscutibile – si legge nelle motivazioni della Corte federale d’appello – che il quadro fattuale determinato dalla documentazione trasmessa dalla Procura della Repubblica di Torino alla Procura federale, e da questa riversata a sostegno della revocazione, non era conosciuto dalla Corte federale al momento della decisione revocata e, ove conosciuto, avrebbe determinato per certo una diversa decisione (…). E si tratta di un quadro fattuale sostenuto da una impressionante mole di documentazione probatoria». Parliamo, infatti, di circa 14mila pagine di documenti.
I giudici sportivi, nel respingere le eccezioni della Juventus, ricordano: «Anche una assoluzione ottenuta per due gradi di giudizio, se conseguente alla mancata conoscenza di fatti invece decisivi per una eventuale condanna, è soggetta al giudizio di revocazione». Riguardo ai fatti, riconducono a due filoni: le intercettazioni e il cosiddetto “Libro nero di Fabio Paratici”, ex manager dell’area sportiva del club. Quest’ultimo, redatto in realtà da Federico Cherubini», il direttore sportivo. Un documento definito «inquietante» dalla sentenza. E peraltro mai «disconosciuto dal redattore (Federico Cherubini)», oltre che «difeso dalla FC Juventus S.p.A. che, unitamente al predetto dirigente, lo ha fatto proprio, solo proponendone una interpretazione diversa rispetto a quella offerta dalla Procura federale, sostenendo si trattasse di un normale “appunto” di lavoro». Per i giudici «Emerge, invero, che detto “Libro” fosse stato preparato dal Cherubini come documento da utilizzare nella propria discussione con Paratici in fase di negoziazione del proprio rinnovo contrattuale (la circostanza è confermata dalle stesse dichiarazioni del Cherubini (…)».
Secondo la Corte «è evidente che Cherubini era pronto a contraddire con Paratici per discutere il proprio contratto (accettandolo o rifiutandolo, non importa) ed era pronto a mettere sul tavolo della discussione quelle che lo stesso Cherubini riteneva essere importanti “differenze di vedute”: cioè il fatto che Fabio Paratici avesse costantemente operato attraverso un sistema di plusvalenze artificiali». La questione è rilevante. Di tale «artificiosità delle operazioni condotte», la Juventus avrebbe avuto una «consapevolezza a tutto tondo» in alcuni casi. In altri, «una consapevolezza più superficiale o magari persino di buona fede (ci si riferisce anche all’allenatore della squadra), ma comunque in grado di far dire che tutti fossero direttamente o indirettamente coscienti di una condizione ormai fuori controllo». Fino a giungere a un punto di non ritorno: i bilanci della Vecchia Signora «semplicemente non sono attendibili». Il vizio di inattendibilità è citato dalla Consob, e «riferito alla censura di quanto meno dieci operazioni di scambio su più esercizi)». Tra gli atti depositati dalla Procura federale, anche la delibera, datata 19 ottobre scorso, dell’organo di controllo del mercato finanziario. La Caf sottolinea «la rilevanza per la sola FC Juventus S.p.A. dei principi contabili internazionali indicati dalla Consob, che non trovano invece applicazione (nei medesimi termini) per le società italiane non quotate». È il cosiddetto IAS38, criterio di valutazione delle attività immateriali: impone una stima attendibile delle stesse. E sarebbe applicabile – stando ai giudici sportivi – al valore dei calciatori, nelle compravendite, se riguardano club quotati in Borsa.
Ai fini del giudizio, «rilevantissime sono poi le intercettazioni telefoniche o ambientali (e le acquisizioni documentali) citate dalla Procura federale a sostegno della revocazione». Ad esempio, «quella del 6 settembre 2021 tra Andrea Agnelli, presidente della FC Juventus S.p.A., e il rappresentante dell’azionista di riferimento John Elkann (…), nella quale gli interlocutori operano un diretto riferimento al fatto che la direzione sportiva (cioè Fabio Paratici) si era “allargata” con lo svolgimento “di tutta una serie di operazioni …” che il presidente Agnelli, nel botta e risposta della conversazione, individua subito definendole di “eccessivo ricorso allo strumento delle plusvalenze”». Così come «l’ulteriore intercettazione tra Andrea Agnelli e Maurizio Arrivabene del 3 settembre 2021 (…), nel corso della quale gli interlocutori condividono che la responsabilità delle difficoltà della FC Juventus S.p.A. non poteva essere attribuita solo al Covid-19 (“sì ma non era solo il Covid e questo lo sappiamo bene” ), posto che da un lato vi era la pandemia, ma dall’altro era stata “ingolfat[a] la macchina con ammortamenti e soprattutto la merda perché è tutta la merda che sta sotto che non si può dire”».
Insomma: per la Caf, la documentazione acquisita dalla Procura federale, «direttamente proveniente dai dirigenti della società con valenza confessoria, le intercettazioni anch’esse inequivoche, sia atomisticamente considerate che nel loro complesso, i riscontri ulteriori formati dalla contrattualistica volta a regolare un effetto concreto di permuta non manifestato all’esterno, e le ulteriori evidenze relative ad interventi di nascondimento di documentazione (caso Pjanic) o addirittura manipolatori delle fatture (caso Olympique De Marseille) costituiscono un quadro fattuale che assorbe ogni altra considerazione». L’episodio evocato è lo scambio Akè-Tongya con la società francese, ritenuto «eclatante». Una manovra «di nascondimento», in cui alcuni dirigenti juventini avrebbero corretto «“a penna” le fatture ricevute dalla controparte per non far emergere la natura permutativa dell’operazione compiuta».
Sono due le contestazioni rivolte alla Juventus: la violazione dei principi di lealtà sportiva (articolo 4 del Codice di giustizia) e in materia gestionale ed economica (articolo 31). Entrambi prevedono, tra le sanzioni, una penalizzazione di punti. Alla determinazione del -15, la Caf è arrivata perché la sanzione «deve essere proporzionata anche all’inevitabile alterazione del risultato sportivo che ne è conseguita tentando di rimediare ad una tale alterazione».
Allo stesso tempo, «deve essere proporzionata al mancato rispetto dei principi di corretta gestione che lo stesso Statuto della Figc impone». Una pena anche più severa, di quanto chiesto dal procuratore federale Giuseppe Chiné (-9), reiterando quella del primo processo, chiuso col proscioglimento. «Tenuto conto dei precedenti che – precisa la Caf – hanno riguardato alterazioni contabili protratte per più esercizi ovvero di rilevanti dimensioni ed intensità (che in passato hanno portato a penalizzazioni di valore oscillante ma, in taluni casi, anche significative)». E deve «essere chiarito che ciò che rileva ai fini del processo sportivo e della violazione quanto meno dell’art. 4, comma 1, CGS – evidenzia la sentenza – non è se la singola operazione dovesse essere trattata in continuità di valori (secondo lo IAS38, paragrafo 45, poi contestato alla FC Juventus S.p.A. dalla Consob) o meno, potendosi o non potendosi rilevare la plusvalenza. Ciò che rileva è la preordinata strutturazione e trattamento delle operazioni come apparentemente indipendenti e in modo tale da impedire in partenza la relativa qualificazione come permute». Ciò che «rileva, in altri termini, è l’essersi volutamente sottratti alla potenziale applicazione dello IAS38 (paragrafo 45), quale che ne fosse l’esito». Quanto a Napoli e Chievo Verona, club assolti – con i rispettivi dirigenti – nel processo di maggio, la Procura non ha effettuato ricorso. «Per l’integrale assenza – specifica la sentenza – di operazioni di scambio dirette con la FC Juventus S.p.A.».
lunedì, 30 Gennaio 2023 - 18:54
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