I carcerati vanno «rispettati» dai sodali a piede libero, o sono loro, dalle celle, a doversi ricordare degli amici fuori? Il dilemma spunta a margine di un’accusa di tentata estorsione aggravata dall’agevolazione mafiosa, ai danni del gestore di un distributore di benzina a San Giovanni a Teduccio, periferia orientale di Napoli. In tale contesto, dall’ordinanza di misura cautelare del gip Ambra Cerabona – eseguita ieri dai carabinieri di Napoli per 24 indagati – emergerebbe una divergenza nel clan Mazzarella D’Amico.
Il 30 aprile 2019, le cimici degli investigatori captano una conversazione «svoltasi – si legge – durante un summit tra D’Amico Umberto o’lione, Luongo Umberto, Autiero Salvatore e Mazzarella Ciro (ritenuto reggente del clan, ma estraneo a quest’accusa, ndr). La riunione si svolge nella abitazione di Ciro Mazzarella, come si evince dalle celle agganciate dalla utenza intercettata in uso a D’Amico. Le ragioni dell’incontro sono chiare dal contenuto dei colloqui intercettati e riguardano la necessità, da parte di Luongo Umberto, di chiarire la richiesta estorsiva avanzata» al gestore della pompa di benzina. La vittima, tuttavia, sarebbe persona vicina «a Clemente Amodio (estraneo a questa contestazione, ndr) legato alla famiglia Mazzarella», in quel momento detenuto. Appena «ricevuti, Mazzarella Ciro esplicita chiaramente ai D’Amico – afferma l’ordinanza – il divieto di dare seguito all’attività estorsiva nei confronti di Amodio Clemente: “Senti questa pompa di benzina di Clemente (Amodio) non si deve fare niente!”». Destinatario della presunta estorsione, sarebbe stato il figlio di Amodio.
Durante il summit, «si sviluppa il lungo dialogo in cui Luongo Umberto spiega a Mazzarella Ciro come il programma non fosse orientato alla realizzazione di una richiesta estorsiva all’Amodio, piuttosto fosse finalizzato ad un’operazione di investimento di denaro (illecito) attraverso l’attività (lecita) del distributore di benzina (…l’ho mandato a chiamare quattro cinque mesi fa..a dirgli : “Senti ci vuoi far investire qualcosa di soldi ?”. Non gli abbiamo cercato niente! Gli diamo cinquantamila euro in mano ( … ). “Ci vuoi far guadagnare su un camion di benzina a settimana? (…). “Sei il figlio di Clemente noi a tuo padre lo rispettiamo lo vogliamo bene (….) tuo padre oggi sta carcerato… noi la famiglia D’Amico non gli vogliamo cercare niente vogliamo solo investire qualcosa di soldi (….) Noi l’estorsione non la stiamo cercando)».
Ma il discorso non convincerebbe l’interlocutore, dando vita ad un contrasto di opinioni. «Ciro Mazzarella – scrive il gip – ribadisce l’ammonimento, sottolineando che “… quelli che stanno carcerati si devono rispettare”. Luongo, però, nella lunga conversazione ribadisce che la esigenza di investire capitali nella pompa di benzina era dettata dalla circostanze che “avevano le guardie addosso” e che Clemente Amodio, da loro “compagno” avrebbe dovuto essere contento».
In sintesi «Luongo ribadisce che sono loro oggi a portare avanti gli affari illeciti del clan e che “un compagno carcerato” avrebbe solo dovuto apprezzare e rendersi disponibile ad aiutarli non interferendo nella loro attività». Significativa, per gli inquirenti, «è la frase di D’Amico Umberto, che dice: “ il carcerato deve fare il carcerato, dobbiamo decidere noi fuori!”».
Per il giudice, invece, la vicenda riguarda il progetto di un’estorsione. «Corretta appare la qualificazione giuridica come operata dal P.M – scrive – e ciò anche a voler dar credito alle parole di Luongo Umberto che, nella indicata conversazione ambientale, ha fatto riferimento ad un “investimento” ossia ad una partecipazione nella attività ( illecita)» del gestore dell’impianto, «al quale, con minaccia ( ora non apre la pompa fin quando non prende i soldi e ci da i soldi tutte le settimane) veniva imposto di investire capitali illeciti per euro per euro 50,000,00 a fronte della distribuzione dei proventi derivanti dall’acquisizione dell’attività commerciale altrui da parte degli indagati, (non è d’accordo però lo deve fare per forza… ci prendiamo cento euro dalle piazze e non ci prendiamo i soldi da questi che fanno tanto IVA) ciò che rappresenta il profitto della estorsione».
Secondo gli atti, alla fine gli indagati non sarebbero riusciti a imporre il diktat, per «cause indipendenti dalla loro volontà». Il collaboratore di giustizia Umberto D’Amico dichiara alla Dda di Napoli: Clemente Amodio «mi propose di togliere tutto da mezzo in cambio di un regalo. Ho accettato. Ci dovevamo incontrare proprio il sabato che ci avete arrestato per l’omicidio Mignano». Parla del 57enne freddato il 9 aprile 2019, mentre accompagnava a scuola il nipote di 3 anni.
martedì, 7 Febbraio 2023 - 19:02
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