Una diagnosi di tumore maligno, la prospettazione di un intervento invasivo. Anna Leonori, madre di due ragazzini, si fa coraggio e affronta l’operazione credendo che sia l’unica strada per restare aggrappata alla vita e continuare ad abbracciare ai suoi ragazzi. E’ il 2014.
Anna esce dalla sala operatoria e, tutto sommato, si sente fortunata. Fino a quando la crudele verità non le cade addosso. Quella diagnosi era sbagliata. Ma non solo. Poco tempo dopo, a causa di quell’intervento insorgono a catena una serie di complicanze che stravolgono la vita di Anna: gambe e braccia le vengono amputate. Un dolore inimmaginabile. Per il quale Anna, 46 anni, chiede oggi un risarcimento. Una riparazione economica doverosa, eppure le strutture sanitarie cui la donna di Terni si è rivolta per avere i soldi hanno fatto orecchie da marcante e Anna ha dovuto rivolgersi agli avvocati, intentando una causa civile. Il Tribunale ha disposto una perizia per accertare i danni patiti da Anna, passaggio necessario per quantificare l’importo economico del danno. Anna quei soldi li reclama, non solo per quello che ha subito ma soprattutto per potere andare avanti «con dignità».
Come raccontato a ‘Il Messaggero’, da un anno Anna Leonori utilizza delle protesi di nuova generazione acquistate grazie a una catena di solidarietà. Ma queste protesi, consigliatele da Bebe Voi che le è stata accanto appena ha saputo la sua storia, sono molto delicate e dopo due anni vanno cambiate. Ecco, un risarcimento consentirebbe ad Anna di poter andare avanti nonostante il male che le è stato fatto. «Le costosissime protesi acquistate grazie alle raccolte fondi di associazioni di volontariato e privati mi hanno cambiato la vita – ha raccontato Anna a ‘Il Messaggero’ – So bene che non avrò mai più l’autonomia ma mi hanno restituito un minimo di dignità nella vita di tutti i giorni. La quotidianità è fatta di tante cose, alcune non potrò farle mai più da sola, altre grazie alle protesi sì. Il problema è che si deteriorano e che sono garantite solo per due anni. Non è un capriccio la necessità di avere un risarcimento per quello che ho subito. Vivo ogni giorno con la preoccupazione che si possa rompere un pezzo, cosa che mi costringerebbe a tornare sulla sedia a rotelle».
Una richiesta legittima, quella di Anna. Che oggi si trova ad affrontare le difficoltà di una vita senza autonomia, e per di più si trova ad affrontare il dolore di sapere che tutta questa sofferenza le è stata inflitta in maniera ingiustificabile. Il suo incubo ha inizio nel 2014 quando ad Anna viene diagnosticato un tumore maligno. Lei sceglie di farsi operare a Roma. Le asportano utero, ovaie, 40 linfonodi e la vescica, che le viene sostituita con una ortotopica. Intervento riuscito, le dicono. Ma quando arrivano gli esiti degli esami istologici ad Anna crolla il mondo addosso: non era un tumore. E quindi quel tipo di intervento non era necessario.
Ma il peggio arriva subito dopo. Da quella operazione Anna non si riprende del tutto. Sta male, ha dolori, febbre, fa avanti e indietro dagli ospedali. Il 7 ottobre del 2017 viene ricoverata per una «peritonite acuta generalizzata causa dalla perforazione della neo vescica». C’è bisogno di un nuovo intervento. Anna entra in coma, ci resta un mese. E su di lei si abbatte la più crudele delle diagnosi: amputazione di gambe e braccia. Una storia terribile per la quale Anna chiede oggi un risarcimento che le consentirà di andare avanti conservando quella «dignità» che le è stata rubata ingiustamente.
martedì, 28 Febbraio 2023 - 12:30
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