Scampia, omicidio ordinato dal carcere: 2 ‘vecchi’ pentiti accusano Enzo Di Lauro, il doppio mandato diviso con Marco

di Manuela Galletta

Due mandanti per un omicidio. Due fratelli che si succedono alla guida del clan e si tramandano, in una sorta di testamento criminale, l’ordine di morte che deve dare soddisfazione alla cosca. Vincenzo Di Lauro e Marco Di Lauro sono i due protagonisti, nell’ottica della procura, dell’agguato di camorra che il 13 giugno del 2007 costò la vita a Luigi Giannino della Vanella Grassi (mentre Luigi Magnetti scampò per miracolo alla morte) e per questa ragione sono stati colpiti da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.

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Un canovaccio che sembra ricalcare quello della storia giudiziaria e processuale vissuta da Marco Di Lauro e dal fratello maggiore Cosimo Di Lauro, accusati di essere stati co-mandanti dell’omicidio di Attilio Romanò, vittima innocente della prima faida di camorra. Cosimo Di Lauro fu quello che, reggendo il clan, gestì l’avvio della faida, ma una volta arrestato – fu la ricostruzione della procura – lasciò in eredità al fratello Marco, subentrato al comando, una lettera coi nomi dei bersagli da eliminare. Su quella lettera vi era il nome del titolare del negozio dove lavorava Romanò.

Ieri come oggi Marco Di Lauro riveste il ruolo di colui che, da libero, diede esecuzione alle volontà altrui. Nel caso dell’omicidio di Luigi Giannino, diede voce – sostiene alla procura – alle pretese di Vincenzo Di Lauro, che – come Cosimo Di Lauro nel 2005 – fu arrestato poco prima che si consumasse l’agguato del 13 luglio 2007.

Storie (accusatorie) che si sovrappongono ma i cui finali potrebbero non combaciare. La tesi del doppio mandato costruita sull’omicidio di Attilio Romanò non resse, anche perché all’epoca la Dda disponeva di un numero ridotto di pentiti e non si raggiunse la gravità indiziaria sul ruolo di Cosimo. Quest’ultimo fu assolto in primo grado e la procura non intese impugnare la sentenza, preferendo cavalcare le contestazioni a Marco Di Lauro, poi assolto in via definitiva nel gennaio dello scorso anno dopo un estenuante braccio di ferro processuale.

Oggi come ieri le accuse a carico di Vincenzo Di Lauro, secondogenito del boss Paolo Di Lauro e libero dal gennaio 2015 (dopo avere scontato una condanna per associazione mafiosa) poggiano sulle dichiarazioni dei pentiti e oggi come ieri quelle dichiarazioni diventeranno terreno di scontro tra accusa e difesa. La procura (pm della Dda Lucio Giugliano) punta tutto su Carlo Capasso, ex killer dell’allora nuova generazione dei Di Lauro al comando, e ‘chiama’ a riscontro Antonio Pica (della famiglia Prestieri) e pochi altri ex malavitosi, nessuno dei quali è in possesso di notizie di prima mano. Capasso, le cui dichiarazioni risalgono a 15 anni fa (verbale di interrogatorio del febbraio 2010), racconta che «Enzo Di Lauro ha deciso l’uccisione di Giannino e Magnetti a seguito del rifiuto del padre di Magnetti a incontrarlo». Un gruppo di fuoco, di cui faceva parte anche Capasso, si appostò così per 20 giorni in un’abitazione al rione Berlingieri nell’attesa di individuare, e aggredire, i due bersagli designati. Ma Giannino e Magnetti non si videro in giro.

In questo lasso di tempo, aggiunge Capasso, i Lo Russo – che si stavano ponendo come una sorta di mediatori tra le due fazioni in lotta – provarono a negare (mentendo) il loro coinvolgimento al fianco durante un incontro tra Raffaele Perfetto ed Enzo Di Lauro: il figlio di Ciruzzo ‘o milionario ribadì in quel contesto che avrebbe «fatto ammazzare qualsiasi scissionista, compresi i nipoti di Lello Amato, che avessero frequentato Giannino e Magnetti». A questo punto, incalza Capasso, si tenne alle ‘case gialle’ un incontro tra Domenico Pagano (degli Amato-Pagano) ed Enzo Di Lauro, il quale «disse che stesso gli scissionisti dovevano ammazzare Magnetti e Giannino». Pagano però, conclude Capasso, replicò che avrebbe dovuto decidere Lello Amato. Dopo qualche giorno Di Lauro venne arrestato. E qui si dipana la storia del ‘doppio mandato’. Una storia che però non vede più Capasso protagonista al fianco di Di Lauro. Il killer non è ammesso ai colloqui in carcere, dunque acquisisce notizie da terze persone. Così viene a sapere che dalla galera Enzo Di Lauro insiste nei suoi propositi. «Enzo Di Lauro – ha aggiunto in un verbale del marzo 2010 – ci diceva dal carcere che voleva sempre la morte di Giannino e Magnetti e che dovevamo aggiungere questo risultato». A raccogliere le parole di Di Lauro, a dire di Capasso, era Enzo Porcino, cognato di Di Lauro. E Porcino «portava le imbasciate a noi e a Marco Di Lauro».

A sorreggere il racconto di Capasso, per la procura, sono le dichiarazioni di Antonio Pica, della famiglia Prestieri che era passata con gli Amato-Pagano. Pica, che parla con gli inquirenti dell’omicidio Giannino un anno prima di Capasso (verbale di interrogatorio del marzo 2009). Come Capasso, Pica riferisce di incontri tra esponenti degli Amato-Pagano ed Enzo Di Lauro mediati dai Lo Russo. E nello specifico riferisce di un incontro tra Cesare Pagano (e non Domenico Pagano come invece detto da Capasso) ed Enzo Di Lauro, ma chiarisce subito di non avervi assistito e di non aver neanche accompagnato Pagano.

Tuttavia Pica si dice in grado di riportare il contenuto del confronto appreso «dagli altri scissionisti» di cui non ha chiarito le generalità: «Seppi che durante l’incontro tra i due capi Enzo Di Lauro disse al Pagano che quello che era accaduto a suo parere non interrompeva la tregua, però se lui fosse riuscito a trovare gli autori dell’omicidio che lui sapeva essere Mucillo e Cutaletta, gli avrebbe fatti uccidere, senza che questo significava interrompere la tregua con gli scissionisti». Infine, Pica ricorda una raccomandazione che Raffaele Amato fece al nipote Lello Amato nonché a Luigi Giannino pochi giorni prima dell’agguato: «Disse loro che non dovevano farsi vedere molto in giro in quanto l’arresto di Vincenzo Di Lauro non faceva venire meno il suo mandato omicidiario nei loro confronti, atteso che Enzo Di Lauro aveva ancora al suo seguito diverse persone, libere, in grado di commettere omicidi». Sullo sfondo le dichiarazioni di Rosario Guarino, ex ras della Vanella Grassi, che in maniera generica riferisce di aver saputo da Lello Amato che «i Di Lauro ci volevano uccidere per i tre omicidi Pica, Cardillo e Lucio De Lucia».

Due racconti dunque, risalenti a oltre 10 anni fa, che per il giudice per le indagini preliminari Linda D’Ancona rappresentano una «duplice e convergente chiamata in reità» e consentono di definire «grave» «il compendio indiziario», sorreggendo l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per omicidio.

mercoledì, 29 Marzo 2023 - 17:17
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