Ergastolo ostativo, Cassazione spiega l’ok alla riforma: «Ora per chi non si pente non c’è più preclusione assoluta ai benefici»

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La riforma dell’ergastolo ostativo, varata dal governo Meloni nel primo consiglio dei ministri, è stata promossa dalla Cassazione lo scorso 8 marzo, quando la Suprema Corte ha respinto l’istanza di inviare alla Consulta gli atti sulle nuove norme. La richiesta proveniva da Salvatore Pezzino, ergastolano ostativo per reati di mafia. Ora la prima sezione penale della Cassazione – relatore Giuseppe Santalucia – ha depositato le motivazioni della sentenza 15197. La sostanza è che il quadro normativo che regolamenta l’ ergastolo ostativo «è significativamente mutato», a seguito della riforma, approvata dopo le sollecitazioni della Corte Costituzionale ai governi precedenti.

La svolta si rileva perché la modifica normativa ha fatto della mancata collaborazione con la giustizia «una preclusione soltanto relativa e ha previsto l’accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative» anche «per i detenuti non collaboranti, ovviamente condannati per reati ostativi, seppure in presenza di ‘stringenti e concomitanti condizioni’». Secondo gli ermellini, dunque, la riforma «ha inciso proprio sulle disposizioni sottoposte a scrutinio di costituzionalità, specificamente sostituendo integralmente il comma 1-bis dell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, a cui ha pure aggiunto due nuovi commi (1-bis.1 e 1-bis.2)». Ma il principale «portato della nuova disciplina – sottolinea la Cassazione – si rinviene nella trasformazione da assoluta in relativa della presunzione di pericolosità ostativa alla concessione dei benefici e delle misure alternative in favore dei detenuti non collaboranti. Costoro, infatti, sono ora ammessi alla possibilità di proporre richiesta, che può essere accolta in presenza di stringenti e concomitanti condizioni, diversificate a seconda dei casi per cui è intervenuta condanna».

Salvatore Pezzino si trova in carcere – per un cumulo di condanne emesse dalla magistratura di Palermo, tra le quali quella per omicidio con l’aggravante mafiosa – da oltre 30 anni. Pertanto i supremi giudici non hanno esaminato la compatibilità col dettato costituzionale della nuova legge, che innalza da 26 a 30 anni la soglia di pena detentiva scontata, per i detenuti per reati ostativi, per poter accedere alla liberazione condizionale. Resta perciò in sospeso il quesito se la riforma «che nulla prevedendo in relazione alla sua applicazione nel tempo, restringe, con possibile frizione con il principio costituzionale del divieto di retroattività della norma penale di sfavore, l’accesso alla liberazione condizionale». Un istituto che «al pari delle altre misure alternative, costituisce, per usare le espressioni della sentenza n. 32 del 2020 della Corte Costituzionale, una vera e propria pena alternativa con accentuata vocazione rieducativa». Il caso Pezzino, – recluso nel carcere sardo di Tempio Pusania – deve essere trattato dal Tribunale di sorveglianza de L’Aquila, alla luce delle modifiche di legge.

martedì, 11 Aprile 2023 - 21:52
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