Renzi e Calenda ai ferri corti, tra soldi e partiti da non sciogliere. Terzo Polo a rischio, il divorzio raccontato dalla stampa


A ridosso delle Politiche era tutto un “vogliamoci bene”. Parole al miele dall’una e dall’altra parte, con Matteo Renzi che fingeva di fare tre passi indietro per lasciare la leadership a Carlo Calenda. “Ci riprenderemo il centro”, dicevano. “Siamo noi la sola alternativa riformista”, aggiungevano. E a chi osservava il rischio di uno scontro tra loro alla luce delle ingombranti personalità e ambizioni, rispondevano che il sodalizio sarebbe durato. E, invece, non è trascorso manco un anno che Renzi e Calenda sono già in crisi.

La notizia del divorzio, rilanciata già ieri dalle agenzie di stampa, occupa oggi le pagine di tutti i maggiori quotidiani italiani. «Accuse incrociate, soldi e veleni. Il Terzo Polo è già entrato in crisi», titola il Corriere della Sera. Repubblica, invece, punta su indiscrezioni circa gli sfoghi di Calenda verso gli atteggiamenti di Renzi: «Il Partito? Anche senza Renzi»; «Il fondatore di Azione pretende dall’alleato lo scioglimento di Iv. I sospetti di trame con FI. Voci sul possibile ritorno di Carfagna tra i berlusconiani». Su ‘La Stampa’ c’è posto per un intervento di Maria Elena Boschi, che rintuzza il leader di Azione: «Carlo è leader grazie a noi, non capisco perché si lamenta».

Su questa scia anche gli altri giornali. Poi ci sono anche i temi di approfondimento, le letture collaterali degli eventi. Repubblica ha toccato la questione ‘Carfagna’: l’ex ministro del Sud sarebbe pronta a tornare a casa. E proprio su Forza Italia e la sua reazione al possibile divorzio di Renzi e Calenda si concentra ‘Il Messaggero’: «Il rilancio di Forza Italia: Riprendiamoci il centro»: «è chiaro – si legge in uno dei passaggi dell’articolo di approfondimento di Emilio Pucci – che qualora le fibrillazioni tra Calenda e Renzi portassero ad un reale sfaldamento del Terzo Polo, dalle parti del partito azzurro si stapperebbe lo champagne. Già adesso FI gonfia il petto, per la serie «lo avevamo detto che non esiste alcun Terzo Polo, in Italia c’è il bipolarismo, non c’è spazio per chi non si schiera da una parte o dall’altra». E la strategia dei forzisti, al di là delle tensioni interne nate dopo gli avvicendamenti alla Camera e sui territori, è quella di tenere ben saldi i piedi nel centrodestra. Insomma, fino a dopo le Europee nulla cambierebbe qualora il leader di Azione e quello di Italia viva decidessero di separarsi. Il tam tam in FI è che chi ha lasciato Berlusconi si sia già pentito. Si fanno ovviamente i nomi delle ex ministre di Draghi, Gelmini e Carfagna. La prima è da sempre in ottimi rapporti con il nuovo coordinatore regionale in Lombardia, Sorte, e la seconda ha sempre contestato non certamente il Cavaliere quanto la (vecchia) tendenza del partito di fare asse con la Lega».

Ma andiamo con ordine, partendo dai dissidi esplosi da ambo le parti. Al centro della contesa vi è la costituzione del ‘partito unico’, inizialmente previsto per autunno (in tempo per la campagna elettorale delle europee del 2024), e il suo finanziamento. La nascita del partito unico presuppone lo scioglimento sia di Azione che di Italia Viva, ma Calenda non è certo che Renzi voglia rottamare la sua creatura e qui sorgono i primi problemi. A insinuare qualche dubbio in Calenda vi è sia la nuova avventura di Renzi da direttore editoriale sia qualche voce su un possibile interesse di Renzi verso Forza Italia nel post Berlusconi.

Poi vi è la questione economica. Emilia Patta sul Sole24ore fa così i conti: «E i finanziamenti? Lo scorso anno dal 2 per mille, il meccanismo di finanziamento volontario ai partiti tramite dichiarazione dei redditi, Azione ha avuto 882mila euro e Italia Viva 807mila. Il percorso verso il partito unico prevede che dopo il congresso di ottobre, e dunque con la dichiarazione dei redditi del 2024, il 2 per mille sarà devoluto al partito unico. Ma i fondi pubblici arrivano a dicembre: con quali soldi si farà intanto la campagna elettorale per le europee di giugno? Per questo Calenda ha proposto a Renzi di mettere in comune il 70% dei fondi che arriveranno a dicembre 2023, senza ottenere impegni». Tuttavia, osserva ancora Patta, mandare all’aria il progetto comune non gioverebbe economicamente a nessuna delle due parti in causa: «Il divorzio poi non conviene a nessuno: farebbe perdere al Terzo polo i numeri per i gruppi unici in Parlamento, perdendo così anche il finanziamento pubblico riservato ai gruppi: circa 50mila euro a parlamentare all’anno (9 al Senato e 21 alla Camera)».

Ad ogni modo Calenda – sono le indiscrezioni – sostiene che Renzi non vuole sciogliere Italia Viva, finanziare il nuovo soggetto e le campagne elettorali. Scrive a tal proposito Carlo Bertini su La Stampa: «La sua ricostruzione (quella di Calenda, ndr) parte da lontano: a dicembre Renzi si è ripreso Italia viva diventandone presidente, “e lui non vuole scioglierla, né vuole dare il 2 per mille del finanziamento pubblico per il primo anno. E se oltre ad andare in giro in Arabia, si mette pure a fare il direttore del Riformista, mi sta prendendo in giro. Ma a forza di voler fregare tutti, frega sé stesso”».

mercoledì, 12 Aprile 2023 - 11:51
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