«Non mi chiamo Salvatore, sono un operaio, i miei genitori lavorano, siamo persone oneste…». Quel 30 luglio del 2000 Giulio Giaccio, 26 anni di Pianura, provò a spiegare a quelli che sarebbero stati i suoi carnefici che non era l’uomo che essi stavano cercando. Ma quando i quattro uomini, travestiti da poliziotti, lo fecero salire in auto fingendo un controllo e il trasferimento in un inesistente commissariato, la sorte di Giulio era già segnata. Giulio fu ucciso, stroncato da un colpo di pistola alla testa, e poi il suo corpo fu sciolto nell’acido, perché i killer dovevano far sparire ogni traccia di lui. Fu un omicidio atroce e Giulio una vittima innocente. Il 26enne non aveva legami con la criminalità organizzata e niente a che fare con la sete di vendetta di Salvatore Cammarota, il quale voleva punire l’uomo, di nome Salvatore, ‘reo’ di avere intrecciato una relazione con sua sorella, che era divorziata (e pertanto la relazione era ritenuta sconveniente).
Alla vigilia dell’udienza preliminare i due imputati, ritenuti dagli inquirenti legati al clan Polverino, hanno offerto alla famiglia di Giulio Giaccio un risarcimento danni, con l’obiettivo di ottenere le attenuanti generiche e dunque uno sconto di pena utile a evitare l’ergastolo. Ma la strategia processuale non ha trovato terreno fertile. La famiglia del 26enne ha declinato l’offerta.
Nello specifico Salvatore Cammarota, ritenuto il mandante dell’omicidio, ha manifestato la volontà di corrispondere 30mila euro in assegni circolari e cedere due immobili (un appartamento e un box per auto) siti a Marano, del valore stimato (attraverso una perizia giurata) in 120 mila euro; Ciro Nappi, invece, ha offerto 30mila euro da pagare in assegni circolari. Tramite l’avvocato Alessandro Motta, i familiari della vittima hanno detto ‘no’ perché «essi confidano esclusivamente nelle determinazioni dell’autorità giudiziaria, all’esito del processo penale de quo. Per questo motivo, l’offerta “reale” formulata non può trovare accoglimento».
Domani, martedì 18 aprile, Cammarota e Nappi compariranno dinanzi al giudice Valentina Giovanniello del Tribunale di Napoli per l’udienza preliminare. Agli atti dell’inchiesta, coordinata dal pubblico ministero antimafia Giuseppe Visone, ci sono le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia. Quello determinante è Roberto Perrone, che prese parte all’omicidio: fu «il capitolo più nero e angoscioso della mia storia criminale», ha dichiarato a suo tempo ai magistrati.
lunedì, 17 Aprile 2023 - 19:06
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