Plusvalenze Juve, l’affondo del Collegio Coni: «Condotte sistematiche e ripetute». Ecco le motivazioni della decisione

di Gianmaria Roberti

Caso plusvalenze Juventus, per le sezioni unite del Collegio di garanzia del Coni la sentenza della Corte d’appello federale ha motivato «correttamente» sul «diverso materiale probatorio acquisito dal quale è emerso il profilo di indiscutibile sostanziale differenza, consistente nell’occasionalità dei comportamenti ascrivibili» alle società prosciolte, «a differenza di quello» del club bianconero, «che è risultato connotarsi come “sistematico e non isolato”». Lo affermano le motivazioni dell’organo di giustizia sportiva, presieduto dall’avvocato Gabriella Palmieri, relative alla decisione assunta il 20 aprile scorso, a seguito del ricorso presentato dalla Juventus contro la Figc e la Procura Federale. In pratica, per il Collegio di garanzia regge l’impianto accusatorio, accolto nella sentenza che il 20 gennaio scorso aveva inflitto 15 punti di penalizzazione alla Juventus.

Il Collegio ha anche azzerato la sanzione, rinviando alla Corte Federale di Appello perché, in diversa composizione, rinnovi la sua valutazione. Questo per aver accolto i ricorsi dei consiglieri d’amministrazione privi di deleghe, rispetto alla cui condanna della Corte federale ha rilevato una carenza di motivazioni. Si tratta di Pavel Nedved, Paolo Garimberti, Assia Grazioli – Venier, Caitlin Mary Hughes, Daniela Marilungo, Francesco Roncaglio. Il Collegio ha invece respinto i ricorsi dell’ex presidente Andrea Agnelli, dell’ex amministratore delegato Maurizio Arrivabene, dell’ex direttore sportivo (ma ancora in carica) Federico Cherubini e dell’ex direttore sportivo Fabio Paratici, tutti destinati a pagare con le inibizioni irrogate (Paratici 30 mesi, Agnelli 24 mesi, Arrivabene 24 mesi, Cherubini 16 mesi).

«Dai nuovi elementi acquisiti nel giudizio, a seguito della trasmissione degli atti da parte della Procura della Repubblica di Torino – scrive il Collegio di garanzia -, è emerso con chiarezza (…) che le alterazioni dei valori dei calciatori (e, quindi, le plusvalenze fittizie) non erano frutto di operazioni isolate, ma che vi era una preordinata sistematicità delle condotte e, quindi, l’esistenza di comportamenti non corretti “sistematici e ripetuti”, frutto di un disegno preordinato, che hanno prodotto chiari effetti (voluti dagli stessi attori) sui documenti contabili della società e, quindi, in definitiva, anche sulla sua leale partecipazione alle competizioni sportive, con la conseguente coerente applicazione, ai fini della fattispecie sanzionabile, dell’art. 4, comma 1, del CGS della FIGC (slealtà sportiva, ndr)».

Nel ritenere infondati vari molti motivi di ricorso, inoltre, la sentenza sottolinea che «il Collegio di Garanzia, in quanto giudice di legittimità, non può entrare nel merito delle valutazioni compiute dagli organi di giustizia delle Federazioni a meno che tali valutazioni non siano state determinate da evidenti errori di fatto o siano viziate per manifesta illogicità che, nella fattispecie, non si ravvisano». La pronuncia, peraltro, evidenzia che «non vi è stata alcuna violazione del diritto di difesa, né tantomeno dei principi del contraddittorio e del giusto processo, atteso che sia i deferiti sia la Società hanno potuto pienamente esercitare il loro (insopprimibile) diritto di controdedurre nel corso del giudizio». Quanto alle intercettazioni, provenienti dall’indagine penale della Procura di Torino, la sentenza impugnata «confuta, con ampie argomentazioni e richiami giurisprudenziali, l’eccezione di non utilizzabilità delle stesse». Adesso, la palla torna alla Corte federale.

martedì, 9 Maggio 2023 - 10:16
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