Quei fondi sarebbero dovuti servire a far funzionare i gruppi consiliari della Regione, invece vennero usati per finanziare i partiti, per l’affitto e per la campagna elettorale.
C’è anche questo nelle motivazioni della sentenza di primo grado, in un filone della Rimborsopoli della Regione Campania. La pronuncia, emessa lo scorso 7 febbraio dalla IV sezione penale del Tribunale di Napoli (presidente Giovanna Napoletano), ha riconosciuto colpevoli di peculato gli ex consiglieri regionali Pasquale De Lucia, Enrico Fabozzi (entrambi due anni e un mese), Angela Cortese, Anita Sala e Nicola Marrazzo (due anni e due mesi per i tre). I giudici hanno invece assolto, con la formula “il fatto non sussiste”, l’ex consigliere Corrado Gabriele e Carmine Mocerino, attuale capogruppo regionale di De Luca Presidente.
Al centro del processo, i fondi erogati ai gruppi nella legislatura 2010-2015, con relativi ricevute e scontrini forniti dagli imputati. Partendo da alcuni paletti di legge, ritenuti dirimenti dal collegio. La natura giuridica dei gruppi consiliari regionali, ed il vincolo di destinazione delle somme a loro assegnate. Secondo le sentenze della Corte costituzionale i gruppi sono organi del Consiglio regionale. Il Consiglio di Stato, peraltro, sottolinea come non siano un’appendice del partito politico di riferimento, ribadendo il ruolo di articolazione del consiglio. Inoltre, secondo una legge regionale «vigente al momento in cui i fatti furono commessi – scrivono i giudici -, le spese di cui i consiglieri chiedevano il rimborso potevano essere imputate al fondo per il funzionamento dei gruppi solo se connesse alle funzioni istituzionali dei gruppi – intesi quali organi o articolazioni strumentali rispetto all’operatività del consiglio regionale e non come appendici dei partiti di appartenenza – ed alle iniziative dei gruppi, in quanto articolazioni nel senso indicato».
Ecco perché, ad esempio, quando in dibattimento Fabozzi «ha sostenuto di avere impiegato le somme corrispostegli per il funzionamento del gruppo versando euro 9.000 al partito Pd della Regione Campania», per il tribunale «le spese documentate (…) sono certamente estranee alle finalità per le quali il prevenuto ha ricevuto i fondi ed infatti attengono non all’attività istituzionale del gruppo consiliare ma costituiscono un finanziamento al proprio partito politico». In sostanza, quei soldi non si potevano versare al Pd.
Secondo i giudici, configurano il peculato anche i 4.500 euro utilizzati da Anita Sala dell’Italia dei Valori. Di questi fondi, 3.000 euro furono destinati ad Elpidio Capasso (estraneo ai fatti), candidato Idv al Comune di Napoli. «Ad avviso del Tribunale la somma corrisposta a Capasso Elpidio (…) – si legge nelle motivazioni – esula dalle finalità del fondo in quanto il Capasso ha riferito, in dibattimento, di avere ricevuto il denaro dalla prevenuta (Sala, ndr) quale finanziamento della sua campagna politica elettorale personale per le elezioni nel comune di Napoli. La Sala si è difesa sostenendo che il Capasso avrebbe mentito perché aveva dato una destinazione al denaro non coerente con quella per la quale gli era stato consegnato, tale assunto è però rimasto privo di riscontro, mentre le dichiarazioni del Capasso in assenza di elementi da cui desumere motivi di rancore o pregiudizio nei confronti della Sala vanno ritenute attendibili». Come pure «totalmente priva di giustificazione» viene ritenuta la spesa per l’importo «di euro 1.500,00 indicato dalla prevenuta (Sala, ndr) come impiegato per l’acquisto di quotidiani e riviste», che «costituisce di un esborso per il quale non è stato fornito alcun documento comprovante l’effettivo pagamento».
Per Nicola Marrazzo (Idv), il tribunale considera «provato il peculato per l’intero importo contestato», cioè 42.459,96 euro. Di questi, 32.267,48 euro le avrebbe corrisposte ad un collaboratore, «che aveva da questi (Marrazzo, ndr) ricevuto l’incarico di utilizzare le somme di cui sopra per le finalità istituzionali indicate nel regolamento del gruppo» come dichiarato anche dallo stesso affidatario della somma. Tuttavia, «non è stata fornita alcuna prova – afferma la sentenza – della destinazione data alle stesse dal collaboratore, a tal riguardo il predetto non ha depositato alcun documento comprovante in che modo aveva impiegato il denaro, la circostanza di avere delegato ad altri la gestione del fondo non esime da responsabilità chi ne aveva la titolarità, si rientra nell’ipotesi della totale mancanza di giustificazione».
Ci sono poi 11.016,78 euro che sarebbero stati utilizzati per pagare il canone di una locazione, cui aggiungere relativi 429,79 di bolletta Enel e 1888 euro per spese di condominio. E altri 8710 euro per le spese di manutenzione di un’auto. «Quanto al pagamento dei canoni di locazione – argomentano i giudici – deve evidenziarsi che si tratta di una locazione ad uso abitativo intestata ad un soggetto diverso dal Marrazzo e per un periodo successivo a quello in cui i fondi era stati erogati ed andavano impiegati. Per le medesime ragioni i pagamenti delle utenze relative al predetto contratto di locazione non possono considerarsi come spesa coerente con le finalità del fondo. Infine le spese per la manutenzione dell’autovettura non rientrano tra quelle coerenti con le finalità del fondo (…) trattandosi di spese per finalità private».
venerdì, 12 Maggio 2023 - 08:37
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