Napoli abbraccia Giovanbattista, don Battaglia sferza i politici e ai cittadini dice: «Non scappate. Restate e seminate»

Daniela Di Maggio abbraccia la bara che custodisce il corpo del figlio Giovanbattista Cutolo
di maga

Daniela che si stende sulla bara bianca che custodisce il corpo del suo giovane figlio Giovanbattista Cutolo e la abbraccia, restando così, sotto lo sguardo di una chiesa gremita e straziata, per diversi minuti.

Daniela che abbraccia il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi davanti al figlio che non c’è e si sussurrano forse promesse di riscattare la città dove Giovanbattista ha perso la vita in modo assurdo, ucciso da tre proiettili esplosi da un 17enne, nella centralissima piazza Municipio, nel corso di una lite per uno scooter parcheggiato male. «Questa città deve cambiare altrimenti mio figlio sarà morto invano», dice Daniela.

Nella foto a destra Daniela Di Maggio e il ministro Piantedosi

Poi c’è Franco, che schiva fotografi e giornalisti, e con i suoi gesti silenziosi coltiva la memoria del figlio talentuoso che ha perso senza un perché: accanto a lui gli amici del figlio, che si stringono in cerchio facendo circolare quell’amore che terrà in vita Giovanbattista. Un amore che questi ragazzi gridano verso il cielo mentre l’auto con il feretro si allontana: «Giovanni vive» è l’inno, due parole impresse sulle t-shirt con la foto del 24enne che gli amici e Daniela indossano in chiesa e che depongono anche sulla bara.

C’è Ludovica, la sorella di Giovanbattista che affida il ricordo del fratello a una lettera letta da Rosaria. Una lettera declinata al presente perché è «il solo tempo che conosco» e con la quale, in maniera inequivocabile, afferma un principio: «Napoli sei tu, non è Mare Fuori, Gomorra, il boss delle cerimonie».

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C’è don Battaglia, che, commosso, cerca di scuotere la città e sferza i politici, facendo piombare un macigno sul capo del governatore Vincenzo De Luca e del sindaco che siedono in prima fila sulla stessa panca occupata da Daniela Di Maggio e dei ministri Piantedosi e Gennaro Sangiuliano. «Fin dal primo giorno dell’arrivo in questa città mi sono reso conto dell’emergenza educativa e sociale che la abitava e ho cercato di adoperarmi con tutto me stesso. Forse avrei dovuto non solo appellarmi ma gridare fino a quando le promesse non si fossero trasformate in progetti e le parole e i proclami in azioni concrete – dice l’arcivescovo, chiamando in causa i politici – Giovanbattista accetta le scuse forse ancora troppo poche di coloro che si girano dall’altra parte. Perdona coloro che dimenticano che i bambini sono figli di tutti e tutti devono fare la loro parte. Di coloro che non si curano di chi cresce nell’ombra del malaffare. Perdonaci tutti perché quella mano l’abbiamo armata anche noi con i nostri ritardi, con le promesse non mantenute, con i proclami, i post, i comunicati a cui non sono seguiti azioni, con la nostra incapacità di comprendere i problemi endemici di questa città che abitata anche da adolescenti, poco più che bambini, camminano armati, come in una città in guerra». 

E, infine, c’è Napoli che risponde in massa all’appello di Daniela di partecipare ai funerali svoltisi oggi, 6 settembre. E fa sentire la sua voce con applausi fermi e lunghi, intonando a più riprese il coro ‘Giustizia, giustizia’. La chiesa di Gesù nuovo scoppiava di anime già durante la camera ardente.

La piazza esterna era un carnaio. «La Napoli bene è tutta qui», dice Daniela. Ed è alla Napoli bene, cioè la Napoli di persone oneste, che Daniela e don Battaglia rivolgono i messaggi di riscossa. «Basta con questi crimini efferati, si perdono anime stupende. Dobbiamo combattere, dobbiamo risvegliare le coscienze», esorta Daniela Di Maggio all’esterno della chiesa prima di allontanarsi al seguito dell’auto che trasporta il feretro del figlio. Parole che fanno il paio con quelle scandite da don Battaglia durante l’omelia: «Se qualcuno un tempo disse scappate, io dico restate e seminate» perché «Napoli ha bisogno di giustizia, speranza. Ha bisogno di essere cambiata». E questo può avvenire scegliendo di «donare il proprio tempo, condividere cuore ed energie, passione ed entusiasmo affinché le pistole si trasformino in posti di lavoro, i coltelli in luoghi educativi, i pugni in mani tese, gli insulti in melodie, concerti, arte, vita». Solo così si eviterà il ripetersi di morti assurde come quelle di Giovanbattista. Morti per le quali non bastano le scuse della mano “deviata” che ha agito. «Chiedono scusa? – grida arrabbiata Daniela – Questa è solo una porcata. Non ci possono essere scuse per crimini così efferati che hanno portano via le anime belle».

mercoledì, 6 Settembre 2023 - 22:23
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