Era l’agosto del 2010 quando scoppiò lo scandalo di Montecarlo che travolse Gianfranco Fini, decretano l’uscita di scena dalla politica e contestualmente determinando l’estinzione di Alleanza nazionale. Quasi quattordici anni dopo le prime notizie sull’inchiesta e cinque anni dopo il rinvio a giudizio firmato dal gup Elvira Tamburelli, giunge ad uno snodo decisivo il processo di primo grado che punta a fare luce sulla opaca operazione di compravendita, che risale al 2008, di un appartamento a Montecarlo, lasciato in eredità dalla contessa Annamaria Colleoni ad Alleanza Nazionale, partito di cui Fini era leader sino all’esplosione dello scandalo: i pm Barbara Sargenti e Maria Teresa Gerace della procura di Roma hanno tirato le somme del dibattito e ha chiesto la condanna di Fini, ex presidente della Camera, a 8 anni di reclusione. Nove anni sono stati proposti per Elisabetta Tulliani, compagna di Fini, mentre la pena più alta, 10 anni, è stata sollecitata per Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta e cognato di Fini. Infine chiesti 5 anni Sergio Tulliani, padre di Elisabetta e Giancarlo. Gli imputati rispondono solo di riciclaggio; l’accusa di associazione a delinquere, fattispecie contestata ad altri imputati ma non a Fini, è stata dichiarata prescritta dai giudici della quarta sezione penale del Tribunale di Roma nell’udienza del 29 febbraio. Ha rassegnato le sue conclusioni anche l’Avvocatura dello Stato ha chiesto, dal canto suo, l’assoluzione per Fini.
Prima che i pm prendessero la parola per la requisitoria, ha reso dichiarazioni spontanee Elisabetta Tulliani che ha, nella sostanza, scaricato il fratello e cercato di salvare il compagno: «Ho nascosto a Gianfranco Fini la volontà di mio fratello di comprare la casa di Montecarlo. Non ho mai detto a Fini la provenienza di quel denaro, che ero convinta fosse di mio fratello – ha affermato visibilmente commossa la donna -. Il comportamento spregiudicato di mio fratello rappresenta una delle più grandi delusioni della mia vita. Spero di avere dato con questa dichiarazione un elemento per arrivare alla verità». La verità (processuale) che i giudici dovranno stabilire parte dal 2008 quando la contessa Colleoni lasciò in eredità ad Alleanza nazionale una casa a Montecarlo. Secondo la procura di Roma, quell’appartamento fu acquistato per 300mila euro da Giancarlo Tulliani e poi rivenduto sete anni dopo per un milione e 360mila euro. Per i magistrati l’intera operazione fu attraversata da opacità.
Anzitutto si ritiene che Tulliani acquistò la casa di Alleanza nazionale per per il tramite della società offshore Atlantis, (diventata poi Bplus e infine Global Starnet), allora la principale concessionaria dello Stato per le slot machine, guidata appunto da Corallo. I soldi impiegati per l’acquisto, per la procura, provenivano dall’imprenditore Francesco Corallo, il re delle scommesse, che avrebbe ripulito il denaro anche in immobili. Pure Corallo fu travolto dall’inchiesta ed è finito a processo, ma solo con l’accusa di associazione per delinquere: quando quest’ultima è stata dichiarata prescritta, Corallo è uscito dalla rosa degli imputati. E la prescrizione ha fatto uscire di scena anche un altro imputato, l’ex parlamentare Amedeo Labocetta.
Rispetto alla compravendita Fini si è sempre detto estraneo ai fatti, precisando di avere scoperto soltanto nel 2010 che l’immobile di proprietà di An era stato acquistato dal fratello della compagna. «Questa vicenda – ha affermato Fini nell’udienza del marzo del 2023 – è stata la più dolorosa per me: sono stato ingannato da Giancarlo Tulliani e dalla sorella Elisabetta. Solo anni dopo ho scoperto che il proprietario della casa era Tulliani e ho interrotto i rapporti con lui. Anche il comportamento di Elisabetta mi ha ferito: ho scoperto solo dagli atti del processo che lei era comproprietaria dell’appartamento e poi appresi anche che il fratello le bonificò una parte di quanto ricavato dalla vendita. Tutti fatti che prima non conoscevo». Versione che però non ha convinto la procura, che oggi ha chiesto la condanna a 8 anni per l’ex presidente della Camera. «Era scontato che la pubblica accusa chiedesse la condanna – ha commentato oggi Fini, presente all’udienza dedicata alla requisitoria – continuo ad avere fiducia nella giustizia e ciò in ragione della mia completa estraneità rispetto a quanto addebitatomi». La sentenza è attesa per il prossimo 18 aprile.
lunedì, 18 Marzo 2024 - 22:50
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