Ucciso davanti alla figlia per un posto auto, la moglie al processo d’Appello: «Richiesta imputati di assoluzione è inaccettabile»

Maurizio Cerrato

«Mi ha infastidito molto oggi la richiesta di assoluzione degli avvocati della difesa, come se mio marito si fosse ucciso da solo, ritengo sia una richiesta inaccettabile». Tania Sorrentino storce il naso. Stamattina, dinanzi ai giudici della Corte d’Assise d’Appello di Napoli, si è aperto il processo di secondo sull’omicidio del marito, Maurizio Cerrato, il custode del Parco Archeologico di Pompei ucciso con una coltellata al petto a Torre Annunziata (in provincia di Napoli), il 19 aprile del 2021, solo per un parcheggio.

Quattro gli imputati, tutti condannati a 23 anni di reclusione ciascuno. Tre sono in carcere, mentre uno è ai domiciliari. Il giudice a latere ha illustrato le motivazioni della sentenza e, a seguire, i motivi che hanno portato alla presentazione dell’istanza di appello da parte del pm e anche dei legali dei condannati, condannati che oggi chiedono l’assoluzione. «Certamente mio marito non ha afferrato un coltello e si è autoinflitto la coltellata che l’ha ucciso», aggiunge Tania Sorrentino, presente in aula insieme con la figlia Maria Adriana Cerrato (entrambe difese come in primo grado dall’avvocato Giovanni Verdoliva), rimasta coinvolta nell’aggressione che portò all’omicidio del padre, in relazione alla richiesta di assoluzione avanzata dagli avvocati degli imputati.

Al termine dell’udienza il giudice ha fissato un programma delle prossime tappe del processo che riprenderà il 10 giugno con la requisitoria del sostituto procuratore generale e con le conclusioni degli avvocati di parte civile.

«Riteniamo che i 23 anni di carcere inflitti agli assassini di mio marito – dice Tania Sorrentino – siano pochi, anche il pm ha chiesto l’ergastolo: noi, dal primo giorno, chiediamo solo giustizia. E che a queste persone venga data giusta pena affinché non possano fare del male anche ad altri».

«Ancora faccio fatica a capire – spiega la signora Cerrato – come si possa giustificare chi toglie la vita per un pneumatico forato, per avere parcheggiato l’auto laddove ritengono con prepotenza che debbano essere parcheggiate solo le loro auto». Con Tania Sorrentino, oggi in aula, c’era anche la figlia Maria Adriana, testimone dell’omicidio del padre: «Quanto è accaduto mi ha reso più forte, ma ora provo meno emozioni. Per fortuna il ricordo di mio padre mi aiuta a non abbattermi. Ritornare al processo è però molto complicato per me. Confido nella giustizia e ritengo l’ergastolo una pena giusta. Nonostante quello che mi è accaduto continuerò con il mio percorso di vita e non consentirò a nessuno di togliermi anche questo».

Tornando al giorno dell’omicidio, Maria Adriana, che adesso ha 23 anni, dice di avere visto gli imputati braccare il padre, che subito dopo trova la morte con un fendente al petto e, rispetto alla volontarietà, o meno, di uccidere, manifestata da alcuni imputati, Maria Adriana è determinata: «Non conta quello che ho visto io, ma quello che è emerso dall’autopsia: la violenza della pugnalata era stata inequivocabilmente impressa per uccidere, il medico legale lo ha appurato». Per il legale della famiglia Cerrato, l’avvocato Giovanni Verdoliva, è naturale che «la famiglia, rispetto a ciò che accaduto e subìto, ritenga che l’unica pena possibile sia l’ergastolo: Maurizio Cerrato è stato brutalmente assassinato per avere difeso se stesso e la figlia da un’aggressione. E’ stato punito per avere avuto la meglio su Giorgio Scaramella il quale poi chiama con una videotelefonata il fratello Domenico Scaramella che si presenta sul luogo dove poi troverà la morte insieme con Antonio e Francesco Cirillo. Lì si consuma l’omicidio, in pochissimi secondi. E la spedizione punitiva aveva come unico obiettivo compiere un omicidio. Noi riteniamo – ha concluso l’avvocato Verdoliva – che Giorgio Scaramella sia il mandante di un omicidio e gli altri tre imputati gli esecutori materiali».

lunedì, 3 Giugno 2024 - 20:15
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