Quando entrò in carcere, qualcuno all’interno gli chiese a quale clan appartenesse. Una roba «che avevo visto solo nei film», dice ai microfoni del Tgr Campania. Luciano Mottola, il giovane ex sindaco della città di Melito (in provincia di Napoli), è stato assolto lo scorso 25 luglio da un’accusa «che non ho mai capito» ma che gli è costata un mese in carcere e sette mesi ai domiciliari, segnando profondamente la sua vita personale e politica.
Il giudice per le indagini preliminari Fabio Lombardo del Tribunale di Napoli, all’esito del processo definitosi con la modalità del rito abbreviato, ha assolto Mottola dall’accusa di scambio elettorale politico-mafioso con la formula «perché il fatto non sussiste». Un’assoluzione che ha il sapore della liberazione ma sa anche di grande vittoria. Non c’è stato dibattimento, non ci sono stati testi da ascoltare, da pungolare: il processo si è giocato solo sulle carte, le stesse che avevano sostenuto la richiesta della Dda di Napoli di condannare Mottola a dieci anni di reclusione. Ma per il giudice quelle carte non contenevano fatti sufficienti nemmeno per sostenere l’accusa.
«Non ho mai capito perché mi trovassi in quella situazione – ha dichiarato Mottola al Tgr Campania – ma non ho mai smesso di credere nella giustizia. Entrare in carcere mi ha segnato. All’ingresso mi hanno chiesto a che clan appartenessi: cose che avevo visto solo nei film. Ai domiciliari, ho attraversato momenti durissimi, convinto che non sarei riuscito ad arrivare alla fine di questo incubo».
L’inchiesta, coordinata dalla procura antimafia e sfociata il 18 aprile 2023 in 18 arresti (16 in carcere, 2 ai domiciliari), aveva scosso profondamente il Comune di Melito. Mottola, eletto con una coalizione civica, era stato accusato di aver ricevuto appoggio elettorale dalla camorra. Una narrazione che ha travolto la sua immagine e poi ha portato allo scioglimento del Comune per infiltrazioni camorristiche.
Eppure, Mottola si era presentato due volte dai carabinieri, prima ancora del voto, per denunciare pressioni e anomalie nel rione 219, roccaforte criminale. Aveva fornito nomi e contesti riconducibili alla coalizione avversaria. Tuttavia, secondo l’accusa, sarebbe stato proprio lui il beneficiario dell’appoggio dei clan in sede di ballottaggio. Una contraddizione clamorosa oggi superata da una sentenza chiara.
Il processo ha prodotto anche condanne pesanti per altri imputati: Giuseppe Siviero a 10 anni, Francesco Siviero e Francesco Della Gaggia a 8 anni e 8 mesi, Luciano De Lucia a 8 anni e 4 mesi, Salvatore Chiariello, Vincenzo Marrone, Antonio De Stefano, Edoardo Napoletano e Luigi Tutino a 8 anni, mentre Emilio Rostan, padre dell’ex deputata Michela, è stato condannato a 2 anni e 8 mesi per corruzione, ma assolto dall’accusa di scambio elettorale politico-mafioso. I suoi legali hanno annunciato ricorso.
Assolti anche Rocco Marrone, ex presidente del consiglio comunale, e altri imputati come Luigi Ruggiero, Rosario Ciccarelli e Antonio Cuozzo.
Il dato più eclatante resta l’esito per Mottola: dichiarato estraneo ai fatti, dopo mesi di privazione della libertà basata su atti che per alcuni giudici hanno avuto “peso penale” e per il gip Lombardo si sono rivelati vuoti di sostanza.
Ora si attendono le motivazioni della sentenza. Nel frattempo, resta il bilancio umano e politico di una vicenda che ha visto un sindaco trattato da colpevole ben prima che un tribunale potesse valutare le prove. E che oggi esce dalla scena giudiziaria senza una condanna, ma con una ferita aperta.
sabato, 27 Luglio 2024 - 15:10
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