Omicidio Vassallo, è l’ora del Riesame: le opacità nel racconto del pentito, i tanti “ho dedotto” e la “prova regina” che non c’è

Il sindaco pescatore Angelo Vassallo

di Manuela Galletta e Mary Liguori

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Chi ha ucciso Angelo Vassallo? Chi ha sparato quei nove colpi di pistola contro il sindaco-pescatore di Pollica, mentre guidava verso casa, la notte del 5 settembre 2010? La procura di Salerno, guidata da Giuseppe Borrelli, ha calato le sue carte dopo 14 anni di indagini, servizi televisivi insinuanti e suggestivi, accuse dei fratelli della vittima, pit-stop investigativi, e un’estenuante agonia per chi confidava nell’accertamento della verità e per chi era finito sulla graticola, investigativa e mediatica, prima ancora di potersi confrontare con una contestazione blindata. Ecco, la contestazione “blindata”: dopo 14 anni la Procura ha ottenuto quattro arresti, due dei quali “pesanti” (il carcere è stato disposto per il colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo che all’epoca dei fatti guidava il nucleo investigativo dei carabinieri di Castello di Cisterna, l’ex vicebrigadiere dei carabinieri Lazzaro Cioffi che al tempo lavorava al fianco di Cagnazzo, l’imprenditore di Acciaroli Giuseppe Cipriano e il pentito Romolo Ridosso).

Ma la contestazione è davvero blindata come sembra leggendo la traccia del capo d’accusa e i titoli dei giornali? Per intenderci: dopo 14 anni gli inquirenti sono riusciti a trovare la “prova regina” in grado di sorreggere l’arresto perfino di un colonnello dei carabinieri? No. La “prova regina”, chiariamolo subito, non c’è. Non c’è un testimone oculare del delitto che possa aver visto e identificato chi ha sparato. Non è stata ritrovata l’arma. Non c’è una sola intercettazione – dopo 14 anni, 14 anni – che in maniera inconfutabile inchiodi anche solo uno degli indagati al delitto Vassallo. C’è però un pentito attorno al quale ruota il castello accusatorio (che vuole Cipriano mandante del delitto, Cagnazzo coinvolto in un’azione di depistaggio e presumibilmente di sostegno all’idea omicidiaria, Cioffi e Ridosso stessi coinvolti in un appostamento) e dal quale si irradiano i raggi di storie suggestive, di sospetti, di ipotesi.

I riscontri? Il de relato del de relato
Al centro di tutto c’è Romolo Ridosso, classe ’61, nato a Castellammare di Stabia, operativo a Scafati, dove ha condotto una carriera criminale indegna di nota. Benché collaboratore di giustizia, benché perno delle accuse al colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo, all’ex vicebrigadiere Lazzaro Cioffi e all’imprenditore Giuseppe Cipriano, Ridosso è stato comunque raggiunto da misura cautelare per l’omicidio Vassallo. Motivo: ha accusato gli altri tre di avere avuto un ruolo nell’omicidio del sindaco, ma si è chiamato fuori professandosi estraneo ai fatti.
Risultato: i pm lo hanno ritenuto attendibile quando ha puntato l’indice contro Cagnazzo, Cioffi e Cipriano, ma hanno ritenuto che mentisse quando ha parlato di se stesso. A sentire uno che lo conosce bene, Ridosso sarebbe un bugiardo patentato: parola suo figlio Salvatore, collaboratore di giustizia pure lui, che lo accusa di avere concordato delle dichiarazioni per apparire affidabile agli occhi dei magistrati. E questa è una delle tante opacità del percorso da pentito di Ridosso. L’uomo – come riportato nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Annamaria Ferraiolo del tribunale di Salerno – apre la collaborazione con la giustizia nel 2018, insieme alla sua ex compagna. Rende, all’epoca, delle dichiarazioni sul caso Vassallo nelle quali non emerge conoscenza alcuna dei fatti e, anzi, sostiene che qualcuno avrebbe cercato di metterlo in mezzo, attirandolo con un pretesto a Pollica due giorni prima del delitto forse allo scopo di far ricadere su di lui, che era un criminale, tutti i sospetti. La compagna, invece, riferisce invece di averlo sentito dire in una conversazione con Cipriano e Cioffi – tempo dopo il delitto – «pure il pescatore lo abbiamo messo a posto», lasciando intendere un suo pieno coinvolgimento nel fatto. Ridosso nega, la procura non gli crede e lui perde il programma di protezione. Qualche anno dopo Ridosso ci riprova, siamo nel giugno 2022, e torna a parlare del caso Vassallo questa volta consegnando alla Procura racconti che più si allineano ai sospetti già rilanciati da tempo dalla trasmissione Le Iene. Cambia versione ma su un aspetto Ridosso mantiene il punto: lui non c’entra, a quel delitto non ha preso parte. E prosegue confermando di essere stato ad Acciaroli, insieme al figlio, il giorno prima del delitto perché chiamato da Giuseppe Cipriano senza però chiarire i motivi del viaggio e di essere andato via prima della consumazione dell’agguato. Vale su questa ricostruzione evidenziare le parole del gip Ferraiolo, che la dicono lunga sulla costanza di credibilità delle dichiarazioni del pentito: «I Ridosso non riuscivano a fornire mai una spiegazione plausibile ed univoca dello scopo del viaggio, sul quale rendevano dichiarazioni contraddittorie ed ambigue, e, a tratti connotate da concordati elementi di falsità, per come rivelato da Ridosso».

Quel verbale dell’8 giugno 2022 in cui Ridosso dice di non sapere di Cagnazzo
E, allora, come fa a sapere cosa è accaduto? Dice di avere raccolto delle confidenze di Lazzaro Cioffi. Ma queste confidenze – alla data dell’8 giugno 2022 – non consentono di capire chi ha sparato a Vassallo, come e dove è stato pianificato il delitto, che ruolo ha avuto il colonnello dei carabinieri Cagnazzo. E non è tutto: tra una domanda e l’altra, ridosso cancella anche Cagnazzo dalla responsabilità nell’omicidio. A questo punto vale la pena riportare alcuni passaggi dell’interrogatorio di Ridosso riportato a pagina 372 dell’ordinanza di custodia cautelare. Il magistrato chiede: «Ma il maggiore Cagnazzo faceva parte di questa cosa? (ossia l’organizzazione del delitto, ndr). Ridosso risponde: «Il maggiore Cagnazzo era il primo personaggio qualsiasi cosa si faceva, si doveva riferire a Cagnazzo, ogni cosa che lui faceva parlava con Cagnazzo». La riposta è vaga e il pm giustamente insiste: «La domanda è precisa, faceva parte dei carabinieri che con Cioffi si sarebbero preoccupati di organizzare l’omicidio e poi la copertura successiva?». Anche stavolta Ridosso svicola: «Dottò, allora Cagnazzo l’ho visto parlare pure con Peppe Cipriano». Il pm non si accontenta: «Sentite, non mi interessa che avete visto parlare Cagnazzo con Cipriano, io voglio sapere se Cipriano oltre a farvi il nome di Cioffi e di dire a Cioffi gli ho dato 50 mila euro perché mi faceva questo servizio, vi fa espressamente il nome di altri carabinieri». La risposta stavolta arriva ed è chiara: «No, ha parlato direttamente di Lazzaro – dice Ridosso -, che Lazzaro teneva tutti i contatti. Lazzaro e basta. Noi parlavamo di Lazzaro perché era amico mio e amico suo. Non abbiamo citato nessun nome più al di fuori di questo».

Ma allora, com’è possibile che si sia arrivati agli arresti? Per gli inquirenti la “controprova” delle accuse che Ridosso muove a Cagnazzo, Cioffi e Cipriano è un altro (ex) collaboratore di giustizia, uno legato al clan Sarno di Ponticelli, responsabile di avere ucciso due bravi ragazzi che lavoravano in un centro scommesse, trucidati per avere chiesto al camorrista di onorare un debito di gioco. Il pentito si chiama Eugenio D’Atri ed è passato a collaborare con la giustizia dopo la condanna dell’ergastolo. D’Atri parla dell’omicidio Vassallo nell’aprile 2022, qualche mese prima che Ridosso si rivolgesse ai pm. Sostiene di avere raccolto uno sfogo di Ridosso, il quale puntava l’indice contro Cagnazzo e Cioffi. I pm gli credono ritenendo che D’Atri possa aver saputo quei particolari solo da Ridosso, che ne ha parlato mesi dopo. A tal proposito il gip scrive che «la fonte de re lato deve ritenersi maggiormente attendibile» della «fonte diretta». Un caso da manuale. Ma è anche un caso di manuale il patentino di credibilità che D’Atri stringe tra le mani: nella stessa ordinanza che sottolinea la qualità del narrato di D’Atri, si dà atto che l’uomo – dopo aver avviato la collaborazione con la giustizia – si è visto dare il benservito dalla Dda, e dunque ha perso il programma, nel febbraio 2023 perché, si legge, «le sue dichiarazioni venivano ritenute non minute dei connotati di attendibilità, attualità e novità richiesti dalla legge».

Ma non finisce qui: a riscontrare D’Atri, nell’ottica dei pm, è ancora un terzo pentito, o meglio ex pentito. Si chiama Francesco Casillo, dell’area vesuviana, anch’egli condannato all’ergastolo per duplice omicidio. Casillo fu definito un mitomane dal suo stesso avvocato e, da pentito, ha già provato a “inguaiare” tre carabinieri, accusandoli di trafficare droga; i militari sono stati assolti nel 2021 dopo un processo durato 12 anni. Casillo, per concludere, non è più collaboratore di giustizia per volere della Dda. Detto in altre parole, siamo in presenza di un de relato del de relato del de relato: un telefono senza fili, per dirla fuor di giuridichese, tra persone che a quei fatti non hanno assistito, che non li hanno vissuti, ma che ne hanno sentito parlare perché la voce è passata tra loro. Tutte persone, non va dimenticato, che hanno provato ad accreditarsi agli occhi della Dda in momenti e in circostanze diverse ma che – tranne Ridosso, che al momento si muove su un filo pericoloso – sono state messe alla porta senza tanti complimenti.

Il collaboratore di giustizia non sa, deduce
Torniamo dunque al punto di partenza, ossia a Romolo Ridosso, e al contenuto delle sue dichiarazioni che hanno provocato il terremoto giudiziario. Ridosso dice che a volere eliminare il sindaco erano il colonnello Fabio Cagnazzo, l’ex carabiniere Lazzaro Cioffi e l’imprenditore Giuseppe Cipriano, perché il primo cittadino aveva scoperto dei traffici illeciti legati alla droga in cui erano coinvolti. Ma lui di droga in mano loro non ne ha mai vista, tantomeno le forze dell’ordine ne hanno sequestrata, e il denaro che dice di aver visto potrebbe essere quello proveniente dai distributori di benzina di Cioffi. Tutto questo si evince dall’ordinanza eseguita dai carabinieri del Ros il 7 novembre scorso. Quattro giorni dopo l’arresto di Cagnazzo, Cioffi e Cipriano, Ridosso chiede di essere riascoltato e aggiunge altro inchiostro alle sue “vecchie” dichiarazioni, riaprendo così il compendio di narrazioni che per legge dovrebbe completarsi entro 180 giorni. Ridosso rivela che nessuno gli ha mai fatto il nome di Cioffi: «lo l’ho dedotto», che fosse lui l’esecutore materiale del delitto, quando Cipriano gli confidò «è stato ‘o cumpagno tuo». Non solo: riempie 18 pagine di verbale e, stavolta, non menziona mai Cagnazzo. Come se non bastasse cambia versione sul movente. Insomma, nel mezzo del cammin di questa storia ci si ritrova nella selva oscura disegnata da un pentito giudicato più volte «inattendibile» e capace di «inventare storie».

I tre moventi: dalla droga, agli appalti fino al furto
Nell’ultimo verbale di interrogatorio, quattro giorni dopo l’arresto, il pentito introduce quindi un nuovo movente, portando così a tre le ipotetiche ragioni che avrebbero determinato la morte di Vassallo. Ridosso racconta – da ultimo – che l’omicidio è legato a un furto avvenuto nella proprietà dei Vassallo. Prima però aveva fatto capire che Cagnazzo e Cioffi fossero certamente responsabili della morte di Vassallo, perché il sindaco aveva scoperto che i due carabinieri gestivano un giro di droga e voleva denunciarli, poi per avere escluso Cipriano da alcuni lavori al porto e per averlo cacciato da Acciaroli. Il movente cambia tante volte, eppure vale sempre la pena ascoltare Ridosso. Anche dopo gli arresti, quando parla per altri due giorni per dire anche che, dopo aver “dedotto” che Cioffi aveva ucciso Vassallo, glielo aveva addirittura chiesto e il carabiniere si era messo a ridere, invitandolo a tornare sulla montagna da dove era venuto. Da questo momento aveva iniziato a temere per la sua vita e per quella dei suoi familiari benché, e lo dice sempre lui, nessuno lo avesse mai minacciato. Quando durante il lungo interrogatorio i magistrati gli chiedono conto delle precedenti dichiarazioni su Cagnazzo, Ridosso risponde di avere «operato il collegamento», ovvero di aver intuito che Cagnazzo fosse coinvolto perché gli era stato assicurato che il colonnello si sarebbe occupato di prendere le telecamere della zona in cui si erano svolti i fatti. Insomma, la certezza che i carabinieri siano coinvolti nel delitto Ridosso non ce l’ha affatto.

Non l’ha mai avuta. E non ha mai avuto certezza neppure quando ha riferito che Angelo Vassallo fu trucidato perché aveva scoperto che Pollica era una piccola Medellín e che i carabinieri erano i capibanda del cartello di narcos. Non ha certezza, Ridosso, neppure del fatto che a sparare sia stato Lazzaro Cioffi: è stata una sua deduzione. Una deduzione peraltro smentita: la sera del delitto Cioffi era a Cancello Scalo per la tappa di Miss Italia cui partecipava la figlia, una storia che gli inquirenti hanno tenuto in conto, visto che – a leggere le contestazioni della misura del 7 novembre – non accusano Cioffi di avere eseguito l’omicidio, ma di avere partecipato a un sopralluogo tenutosi qualche giorno (il figlio di Vassallo sostiene di averlo visto in auto aggirarsi dinanzi casa insieme a un’altra persona).

Il manoscritto, le date dei verbali
e i servizi de Le iene: l’ipotesi dell’accordo tra pentiti
A monte di tutto ci sono i servizi delle Iene, che negli anni hanno affrontato il caso Vassallo offrendo ricostruzioni spesso indirizzate dai sospetti dei più stretti familiari del sindaco-pescatore. Questi servizi televisivi anticipano le dichiarazioni di D’Atri, di Ridosso e di Casillo. I servizi delle Iene sul caso Vassallo vanno in onda il 9 e il 17 ottobre 2019, poi il 3 novembre dello stesso anno, il 5 settembre 2020 e il 6 novembre 2022. Le Iene raccolgono testimonianze, racconti, storie, rumors e voci di strada. Finisce tutto in prima serata e bastano i titoli per capire qual è la pista seguita dal programma Mediaset: «La droga dietro la morte del sindaco-pescatore; i depistaggi; i sospetti sui carabinieri». Non mancano i soliti incappucciati e le voci camuffate, il colonnello dei carabinieri Cagnazzo viene “intervistato” con la telecamera nascosta; Cioffi (intanto finito in carcere – e successivamente condannato – per aver chiuso un occhio su un traffico di droga gestito da un ras del Parco Verde di Caivano) una volta ai domiciliari, viene scovato e intervistato a sua volta. I due si difendono e spiegano il loro punto di vista. Cagnazzo piange, Cioffi scuote la testa. I servizi sono sulla piattaforma Mediaset, chiunque può guardarli e in qualsiasi momento. E farsi la sua idea. Recano le date della prima messa in onda e sono antecedenti i verbali dei pentiti. La domanda, a questo punto, nasce spontanea: è possibile che questo tappeto di informazioni divulgate mediaticamente sia poi divenuto patrimonio dei pentiti che lo hanno fatto proprio? Dovranno chiarirlo gli inquirenti. Qualche dubbio però viene, anzi più d’uno, leggendo il manoscritto consegnato da Ridosso ai pm quattro giorni dopo gli arresti per il caso Vassallo: il pentito scrive che quando era nel carcere di Sollicciano, durante il pranzo del 28 agosto 2022, sentì un tale Vito Corda raccontare che, quando era rinchiuso a Voghera, aveva saputo che Eugenio D’Atri e Francesco Casillo si erano messi d’accordo su alcuni processi di camorra. I due avevano parlato anche del caso Vassallo. Corda disse che quando al telegiornale si parlò del sindaco assassinato, D’Atri e Casillo si vantarono di essere gli artefici della riapertura dell’indagine. Corda raccontò anche – si legge sempre sui fogli a quadretti riempiti da Ridosso in un chiaro e ordinato stampatello – che D’Atri aveva detto di aver sottratto la maggior parte delle informazioni, poi riferite al magistrato, dal “detenuto di Sollicciano”. Quel detenuto, par di capire, era proprio Ridosso. “Chillo è scemo”, avrebbe detto D’Atri “io aggia piglià il programma di protezione”. Ridosso, in questo caso, precisa che tutti i commensali sentirono il racconto di Corda, e fa i nomi del cappellano e degli altri detenuti presenti al pranzo. Come dire: se non mi credete, chiedete a loro.

Il giallo del compenso

Ma torniamo all’ordinanza che contiene un verbale che se non fosse pieno dei soliti passaggi criptici dello stile “ridossiano” potrebbe addirittura rappresentare un passaggio cruciale per l’inchiesta. Il pentito parla di un compenso di 60mila euro che Giuseppe Cipriano avrebbe dato a Lazzaro Cioffi e destinato alla “squadra” di carabinieri impegnata nelle varie fasi del delitto. «Gli diede 50-60 mila euro pure per le carte tutte le cose avete capito?», ripete continuamente. E aggiunge «era normale che (i carabinieri, ndr) gli davano la copertura, gli diedero pure le carte». Ma quali carte? La domanda resta senza risposta. Così come resta in sospeso il perché un colonnello dei carabinieri – che all’epoca dei fatti operava, alla guida dei carabinieri del nucleo investigativo di Castello di Cisterna, sequestri milionari ai danni dei narcotrafficanti e nessuno si sarebbe accorto se fossero spariti migliaia di euro, si sarebbe dovuto accontentare di un compenso di appena 20mila euro (Ridosso parla di una squadra di carabinieri, composta da almeno tre carabinieri) per un omicidio. Perché un ufficiale dei carabinieri si sarebbe dovuto sporcare le mani per una cifra così irrisoria?

La retromarcia
Dopo quattordici anni ci si aspettava che la svolta provenisse da un lavoro granitico, se non la proverbiale pistola fumante, almeno una qualche prova regina che la sostituisse. Così non è. Tant’è vero che sui principali quotidiani si sono lette note di comprensibile perplessità, a partire dall’editoriale di Cicelyn sul Corriere che, con il suo inconfondibile stile dissacrante, fa a pezzi l’inchiesta della Dda di Salerno. Val la pena poi riflettere anche su un’altra circostanza: tre giorni dopo gli arresti, le Iene hanno mandato in onda un pezzo di 15 minuti con i soli interventi degli indagati. I video sono stati estrapolati dai vecchi servizi, ma montati in questo nuovo modo, assumono un taglio innocentista, perlomeno dubitativo rispetto all’effettivo coinvolgimento dei carabinieri. Domani tocca ai giudici del Riesame: spetterà a loro confrontarsi con un materiale accusatorio tutt’altro che definito. Spetterà a loro, in questo secondo step dell’iter giudiziario, dire se un pentito dalla credibilità dubbia, i riscontri frutto di una specie di telefono senza fili, le suggestioni su cosa accadde sulla scena del crimine nelle ore successive il ritrovamento del corpo di Angelo Vassallo, e sull’incursione investigativa del colonnello Fabio Cagnazzo che era in vacanza ad Acciaroli e non avrebbe dovuto indagare sul caso, siano sufficienti a giustificare gli arresti, o se invece tutti i racconti infilati in questa ordinanza siano, come in molti hanno osservato, i frutti avvelenati di un albero malato

domenica, 24 Novembre 2024 - 12:18
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