
Suona l’inno di Mameli nel Salone dei Busti di Castel Capuano a Napoli quando si apre la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, e la locandina della Costituzione italiana svetta sulle teste dei magistrati che affollano le due estremità del Salone. È ben salda e bene in mostra, la Costituzione, tra le mani dei magistrati del Consiglio giudiziario, della procura generale e della Corte d’Appello quando le toghe sfilano nel Salone per occupare, come di consueto, gli scranni che guardano verso la nutrita platea di esponenti del mondo della giustizia e delle istituzioni. E svetta in alto quando, non appena il ministro della Giustizia Carlo Nordio prende la parola, i magistrati si alzano dai posti in sala e vanno via dando le spalle al Guardasigilli, attuando così la protesta deliberata dall’Associazione nazionale magistrati e applicata in tutta Italia.
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A Napoli la protesta contro le riforme in materia di giustizia che toccano proprio la magistratura (a cominciare dalla separazione delle carriere e dallo sdoppiamento del Csm) raggiunge il punto più alto. E ciò perché in rappresentanza del Governo c’è proprio il Guardasigilli.
Fuori (quasi) tutti, dunque. Magistrati in carica, neo assunti ma anche magistrati in pensione che hanno risposto alla “chiamata alle armi” in difesa di un “corpo” che si sente minacciato dal Governo Meloni nella sua “indipendenza e autonomia”. Contro Nordio sfilano in 400, dice, tirando le somme alla fine della mattinata, il magistrato Diego Ragazzino della giunta distrettuale napoletana dell’Anm, perché tante sono le coccarde, coi colori della bandiera italiana, distribuite agli aderenti alla manifestazione e appuntate in petto prima dell’avvio della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario. Sfilano – tra gli altri – l’ex procuratore di Napoli Giovandomenico Lepore, l’ex coordinatore della Dda di Napoli nonché ex procuratore della Dna Franco Roberti, l’ex procuratore generale Luigi Riello, l’ex presidente della Corte d’Appello di Napoli Giuseppe De Carolis di Prossedì, l’ex procuratore di Torre Annunziata Alessandro Pennasilico, Aldo De Chiara. Si affaccia nel Salone dei Busti anche Federico Cafiero de Raho, oggi parlamentare per il Movimento 5 Stelle, che però non lascia il Salone ma solo «per rispetto istituzionale». Si chiama, invece, fuori dalla forma della protesta, restando in sala – anche in ragione del suo ruolo istituzionale – la presidente del Tribunale di Napoli Elisabetta Garzo. Grande assente il procuratore di Napoli Nicola Gratteri, che resta in ufficio e preferisce collegarsi in diretta con la trasmissione Agorà Weekend su Rai Tre, spiegando le ragioni della sua defezione: «Resto qui in ufficio a lavorare perché non ritengo utile la mia presenza, dato che nel corso di tutto questo tempo, mesi e anni, nessuno ha chiesto e ha voluto un confronto per discutere sul piano pratico, tecnico e giuridico della riforma. Quindi andare lì a sentire lo stesso discorso fatto ieri, fatto in televisione ieri sera o fatto l’altro ancora, non ne vale la pena». E, tuttavia, Gratteri promuove la protesta dell’Anm («Tutte le manifestazioni, le proteste democratiche, sono legittime, devono essere fatte») e tira le orecchie al sindacato delle toghe: «L’Anm sinora è stata molto timida rispetto anche ad altre riforme».
Quello che protesta a Napoli è un parterre illustre. L’occasione, del resto, è “eccezionale”. È la prima volta nella storia degli ultimi due decenni, perlomeno, che i magistrati danno le spalle a un ministro della Repubblica: nel 2010, quando l’Anm ordinò analoga protesta (all’epoca c’era il Governo Berlusconi), il ministro della Giustizia Angelino Alfano – ospite all’Aquila – scansò dissensi eclatanti perché i magistrati ritennero di abbassare i toni in segno di rispetto della popolazione colpita dal terremoto. Fu un caso. Un caso che oggi rende un unicum quanto accaduto a Napoli. Fuori tutti, dunque. E, mentre si sfila contro il Guardasigilli, protestano pure, ma in modo più formale per via di ovvi equilibri istituzionali, anche i magistrati del Consiglio giudiziario che occupano gli scranni di un’ala – quella più vicina al palco degli interventi – del Salone dei Busti, e i magistrati della procura generale e della Corte d’Appello che invece siedono alle spalle della linea del palco, guardando la sala: mentre Nordio parla, loro tengono bene in vista la locandina con la Costituzione italiana.
È l’epilogo di una protesta cominciata in mattinata, quando all’ingresso di Castel Capuano una rappresentanza di magistrati della sezione napoletana dell’Anm si è resa protagonista di un sit-in stringendo tra le mani un cartello recante un pensiero di Piero Calamandrei sulla Costituzione, quella Costituzione che i magistrati dicono essere oggi in pericolo per via delle riforme volute dal Governo Meloni. E con un volantino in mano, con su scritto Costituzione italiana, hanno sfilato i magistrati del Consiglio giudiziario, della Procura generale guidati da Aldo Policastro e della Corte d’Appello di Napoli guidati da Maria Rosaria Covelli al loro tradizionale ingresso, sotto forma di sfilata, nel Salone dei Busti prima dell’avvio della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario. È l’epilogo di una protesta alla quale Nordio prova a replicare durante il suo intervento: «Qualcuno può pensare che questa riforma costituzionale sia punitiva per la magistratura. Tutte le opinioni sono benvenute, così come tutte le manifestazioni di dissenso, e ringrazio tutti per una manifestazione estremamente composta come questa, è il sale della democrazia – dice -. Ma che si possa pensare che un ministro da 30 anni in magistratura, per tre anni alla guida dell’inchiesta sulle Brigate Rosse, che ha assistito alla morte di alcuni dei suoi colleghi, pensare che un ex magistrato possa avere come obiettivo l’umiliazione della magistratura alla quale è appartenuto, lo trovo particolarmente improprio» E, tuttavia, per Nordio «il colossale potere conferito alla magistratura dev’essere temperato non solo dalle leggi, ma anche dall’umiltà e il buon senso. Umiltà e buon senso non si insegnano all’università, non si scrivono nelle leggi, si imparano con una profonda riflessione e con la cultura generale. È la riflessione che mi ha ispirato la messa alla quale ho assistito questa mattina qui a Castel Capuano». Parole che vengono accolte da un lungo e fragoroso applauso. Dal fondo del Salone dei Busti si leva anche un coro di “bravo”. Sono gli avvocati che vogliono far sentire il loro sostegno a Nordio e al Governo e che, al tempo stesso, vogliono fare da contraltare alla protesta dei magistrati.
L’INTERVENTO DEL PRESIDENTE DEL COA NAPOLI
E I NODI DELLE CARCERI E DEL PROCESSO PENALE TELEMATICO
Il lungo applauso col quale gli avvocati napoletani hanno chiuso l’intervento del ministro Nordio non è stato, però, seguito da altrettanto interesse da parte del Guardasigilli che, causa altri impegni, ha lasciato il Salone dei Busti mentre il presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Napoli, Carmine Foreste, s’accingeva a pronunciare il suo discorso. La cosa ha generato comprensibili malumori tra le toghe partenopee che si aspettavano maggiore attenzione da parte dell’esponente del Governo Meloni al quale hanno dimostrato pieno appoggio. L’intervento di Foreste si è infatti articolato su tre aspetti: oltre alla condivisione dei principi della Riforma, con l’adesione al principio della separazione delle carriere, il presidente del Coa si è soffermato sulle emergenze irrisolte delle carceri, dell’ingolfamento dei tribunali, col processo penale telematico mai entrato veramente a regime.
Ma andiamo nel dettaglio del lungo discorso di Foreste. «Nel rispetto dei principi costituzionali, è ineludibile che alla separazione funzionale si accompagni una separazione ordinamentale tra magistratura requirente e giudicante, entrambe autonome e indipendenti da altri poteri dello Stato», ha detto il presidente del Coa. «L’Ordine degli avvocati di Napoli si pone in maniera costruttiva nei confronti della riforma della giustizia. È necessario che chi governa e chi legifera abbiano l’apporto e l’esperienza di chi vive sul campo e per questo l’avvocatura chiede di essere ascoltata sui grandi temi e su quelle che sono le disfunzioni del processo civile e penale». «Le riforme del processo penale vanno analizzate nella prospettiva delle garanzie dei diritti di difesa degli imputati, per i quali, certamente, un giudice che non sia più “collega” del pubblico ministero apparirà ancor più credibile», ha aggiunto. E in tema di tutela del diritto alla difesa, Foreste si è soffermato sul sovraffollamento dei penitenziari italiani «che è arrivato al 132,05% – snocciolando i dati – raggiungendo livelli di guardia che non si verificavano dal 2013, cioè dalle condanne inflitte dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. L’altissima densità di detenuti trasforma i penitenziari in vere e proprie polveriere, dove il rispetto della dignità umana e la funzione rieducativa della pena, garantita dall’articolo 27 della Carta Costituzionale, vengono quotidianamente violati». «Servono amnistia e indulto, almeno per i reati meno gravi, una depenalizzazione ragionata, un sistema sanzionatorio ancor più aperto alle misure alternative e un uso più ponderato della custodia cautelare in carcere», ha concluso il presidente del Coa.
sabato, 25 Gennaio 2025 - 18:38
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