Dal pasticcio della Cpi alle esigenze di sicurezza: Nordio e Piantedosi in Aula ricostruiscono il caso Almasri

piantedosi e nordio
Matteo Piantedosi e Carlo Nordio
di Mary Liguori

Il «pasticcio» della Corte penale internazionale che ha trasmesso atti incoerenti rispetto alle date dei delitti contestati ad Almasri e la necessità di espellerlo dal territorio nazionale per questioni di «sicurezza e ordine pubblico». È la sintesi delle informative alle Camere dei ministri Carlo Nordio (Giustizia) e Matteo Piantedosi (Interno) sul caso della scarcerazione e del rimpatrio del generale libico Almasri accusato di torture, omicidio, stupri avvenuti nel carcere libico di Mittiga. Nessuna pressione, dunque, smentisce il Governo, ma applicazione della legge nel perimetro delle funzioni ministeriali.

Il primo intervento è stato del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, il quale ha ripercorso il carteggio legato agli atti emessi dalla Corte penale internazionale a carico di Almasri e dei suoi spostamenti in Europa. «Il ministro della Giustizia non è un passacarte, ma ha il compito di analizzare le richieste della Corte alle quali dare eventualmente seguito. Il ministro, ove ritenga, concorda con altri dicasteri e altri organi le scelte da farsi. Una necessità di analisi e confronto che sul caso in questione si presentava senza ombra di dubbio», la premessa di Nordio che poi è passato a ripercorrere le date della vicenda. «Una comunicazione informale di poche righe, firmata dall’Interpol, diretta a un funzionario del ministero della Giustizia priva di richiesta di estradizione: così si è riferito, al Ministero, il caso Almasri. Il 20 gennaio alle 12.40 perviene questo carteggio; l’ambasciatore a L’Aia trasmette al dipartimento la richiesta di arresto provvisorio; la questura di Torino procede all’arresto senza fini estradizionali, come prevede la legge; il 22 gennaio il provvedimento di scarcerazione della Corte d’Appello arriva in ministero; la liberazione decisa dalla Corte d’Appello di Roma avviene su istanza del difensore; il 28 gennaio ricevo la notifica dell’indagine a mio carico con sottolineatura in grassetto del mio stato di indagato, cosa che mi provoca una certa tenerezza verso il pm», è la prima stoccata di Nordio ai magistrati, suoi ex colleghi.

L’attacco, nel corso dell’informativa, raggiungerà anche la Corte penale internazionale che, secondo la ricostruzione di Nordio, ha emanato un mandato di cattura nullo perché viziato da un grossolano difetto relativo alla tempistica del reato continuato contestato ad Almasri. Dagli atti in «inglese non tradotti» ha sottolineato Nordio s’è evinto che la Cpi «contestava ad Almasri delitti commessi dal 2015 in poi e, in un altro atto, dal 2011 in poi, ovvero quando Gheddafi era ancora al potere. Vizio grave che è stata la stessa giudice Socorro Liera della Cpi a sottolineare nella sua dissenting opinion e che, cinque giorni dopo il primo atto, la Cpi ha recepito tanto da riscrivere per intero l’atto, peraltro mai inviatoci e che abbiamo letto dal sito della Corte. In questo secondo documento la Corte ha cancellato 45 paragrafi di imputazioni e quindi quattro anni di crimini, secondo la prima ricostruzione, e quindi ha riscritto per intero l’atto che, se avessi avallato, di certo la Corte d’Appello di Roma avrebbe poi respinto a causa della grave incongruenza che conteneva».

«Recependolo – continua Nordio – avrei emesso un atto illegittimo». «La giudice Socorra Flores Vieria della Cip ha evidenziato le contraddizioni di un atto emesso frettolosamente e in modo irrazionale, e su questo, sull’immenso pasticcio che ha fatto la Corte penale internazionale, chiederemo spiegazioni: intendiamo risalire alla ragione di questo pasticcio che sarà trovato in altre sedi e in tal senso ho attivato i poteri che la legge mi riconosce per chiedere una giustificazione circa le incongruenze su cui è stato mio dovere riferire».

L’intervento si è svolto con diverse interruzioni, accolte sempre con il sorriso da Nordio. Da un lato gli applausi della maggioranza, dall’altro più di una contestazione da parte dell’opposizione, accusata peraltro da Nordio di non aver «letto i documenti relativi al caso Almasri e di avere diffuso, con una parte della stampa, notizie false e tendenziose»; le contestazioni si sono fatte più veementi quando Nordio ha criticato i magistrati che «mi hanno deluso – ha detto il Guardasigilli – perché nel loro case leggere le carte è un opzione».

La parola è poi passata al ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, chiamato a riferire circa la decisione di rimpatriare Almasri su un volo di Stato. Il titolare del Viminale ha ripercorso la mappa cartolare della vicenda attraverso gli atti della Cip e i documenti di viaggio del militare libico, a partire dal passaporto dominicano con visto Usa valido per dieci anni emesso appena due mesi fa a favore di Almasri. «Al suo arrivo in Europa, Almasri è solo transitato per Fiumicino diretto a Londra per cui non è stato sottoposto a controlli doganali – ha esordito Piantesodi -. Da Londra via Manica è giunto in Francia e poi, dopo altri passaggi in nord Europa, il 15 gennaio, a Bonn, ha noleggiato un’auto che avrebbe dovuto lasciare a Fiumicino».

«Ricordiamo che la sua prolungata presenza in Europa è stata preceduta, a partire dal 10 luglio 2024, dall’inserimento da parte della Cip di una nota di diffusione blu, diretta solo alla Germania e non visibile agli altri Paesi, in cui veniva indicato di segnalare l’eventuale presenza di Almasri, ma di non procedere all’arresto avendo egli lo status di “testimone”». «È solo alle 22,55 del 18 gennaio che la Corte chiede al segretario dell’Interpol di sostituire la nota blu con quella rossa, e dunque con un ordine di arresto in caso di rintraccio, questa volta dunque indirizzato anche all’Italia. Il segretario valida la nota e la Polizia di Stato italiana esegue rapidamente il mandato, arrestando Almasri a Torino, il 19 gennaio». Poi il passaggio sul rilascio: «Dopo la mancata convalida dell’arresto – ha spiegato Piantedosi – si prospettava che il cittadino libico si ritrovasse a piede libero sul territorio italiano: alla luce del quadro accusatorio della Cip, ho adottato la misura di espulsione immediata per motivi di sicurezza e ordine pubblico». Poi la questione volo di Stato, per la quale Piantedosi è indagato per peculato. «Quanto alla modalità di rimpatrio, – ha detto il ministro – vi ricordo che non è un unicum, ma ci sono stati altri 190 provvedimenti analoghi da parte di questo e di altri governi. La mia scelta ha due ragioni: la sicurezza dei cittadini italiani e la tutela dei notri interessi all’estero in uno scenario di grande complessità». «Le scelte di questo governo metteranno sempre al centro la sicurezza e gli interessi dei cittadini italiani», la chiusa di Piantedosi, quasi a far eco a Nordio che concludendo la sua informativa ha detto: «un magistrato ha detto che il governo ha ricompattato la magistratura, ma sono io a ringraziare loro perché hanno compattato la maggioranza. Andremo avanti fino alla riforma finale».

LE REAZIONI
Concluse le informative, la parola è passata prima a Donzelli e poi a Schlein.
«Chi è in buona fede si è tolto ogni dubbio sull’operato del governo» ha detto Giovanni Donzelli, responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia. «Gli interventi dei ministri e la loro disponibilità a riferire chiariscono per intero la vicenda. Al Pd e al M5s ricordo che non si sono fatti scrupoli quando facevano accordi con Maduro in Venezuela o per la via della Seta; non avevano a cuore all’epoca i diritti umani come li hanno adesso? Né li avevano quando la sinistra faceva accordi con la Libia e Almasei già c’era? Io ringrazio questo governo perché è coerente. La notizia delle indagini sul premier, sui ministri e sul sottosegretario, per reati contestati nello svolgimento della loro funzione, non ha precedenti e sta condizionando il dialogo tra governo e Parlamento – ha aggiunto -. Ma non ci lasceremo intimorire e andremo avanti, con la lotta all’immigrazione clandestina e con le nostre riforme».

Durissima la replica di Elly Schlein, segretaria nazionale del Pd. «Il ministro Nordio dice di non avere letto le carte perché in inglese e per questioni di tempo ma poi riferisce di non avere validato la misura di arresto per il torturatore a causa degli errori contenuti negli atti. Il governo continua a contraddirsi per non ammettere di avere voluto rilasciare Almasri per continuare ad avere in Libia chi fa il lavoro sporco in Libia, come avviene nei centri inumani in Albania. Oggi i ministri sono in aula al posto del premier Meloni che continua a scappare dalle sue responsabilità. Il risultato è che il ministro Nordio parla in aula come difensore di un torturatore e noi dobbiamo chiederci che Paese vogliamo essere se dalla parte di torturati o dei torturatori. Noi continueremo a tormentarvi democraticamente – ha concluso la leader del Pd – e mi riferisco a Giorgia Meloni». Al primo ministro si è rivolto anche Giuseppe Conte. «Meloni non parli più del caso Almasri – ha detto il segretario del M5s – visto che si è rifiutata di conferire nelle sedi opportune». Chiaramente, l’informativa dei ministri non spegne le polemiche e lo scontro che sta investendo i poteri dello Stato sembra destinato a nuovi picchi di tensione già nei prossimi giorni.

mercoledì, 5 Febbraio 2025 - 16:17
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