Il papà scarrella la pistola davanti al figlio di soli 6 anni e il bimbo, con la naturalezza di chi, a quel gesto, assiste quotidianamente e l’ha ormai introiettato, gli chiede: «Papà, dove vai con la pistola». E poi c’è un altro bimbo, che di anni ne ha anche meno, tre appena e da poco ha imparato a mettere insieme le parole. Sta giocando quando la mamma riceve una videochiamata: è il cognato, che la contatta direttamente dalla sua cella del carcere di Carinola, usando un cellulare che ovviamente non potrebbe avere a disposizione. Parlano di cose di camorra. «Dobbiamo sparare a tutti», dice l’uomo. Le sue parole risuonano nella stanza dove il bimbo sta giocando. La donna coinvolge il piccolino in quella conversazione da grandi e da criminali: «Sai usare la pistola?». E lui, di rimando: «Sparo ai poliziotti… vicino alla chiesa».
Sono due scene di vita reale catturate dall’inchiesta sulla camorra a Pomigliano d’Arco, comune in provincia di Napoli, che ieri hanno portato all’arresto di 27 persone (di cui 23 in carcere e 4 ai domiciliari) in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare che racconta la gestione degli affari illeciti da parte dell’emergente gruppo facente capo a Salvatore Ferretti e da parte dei Cipolletta, anche detti dei “napoletani”, nonché l’accesa conflittualità tra le due cosche sfociate in “stese” e agguati. Tra gli arrestati anche quattro minorenni, tra i 16 e i 17 anni, per i quali si sono aperte le porti di un istituto di pena minorile. Uno di loro, figlio di un malavitoso deceduto, era divenuto un uomo di fiducia del ras Cipolletta, veniva coinvolto in incarichi delicati come il trasporto delle armi, e per dimostrare la sua fedeltà al clan e mostrare agli altri la sua affiliazione s’era fatto tatuare sul polso il cognome Cipolletta. Gli altri tre minori, invece, devono rispondere di diverse rapine, anche molto aggressive. Il procuratore della Repubblica per i Minorenni di Napoli Patrizia Imperato, nel corso della conferenza stampa che si è tenuta ieri in procura a Napoli, li descrive come «protagonisti di atti spregiudicati», ma anche «fieri e contenti di raccontarlo, forse per accreditarsi rispetto al capo e diventare anch’essi intranei, non semplici partecipi dei reati predatori».
«I giovanissimi – ha sottolineato il procuratore Imperato – subiscono questa fascinazione dell’appartenenza al clan che in qualche maniera consente loro rispetto ed affermazione sul territorio. C’è una adesione totale a certe dinamiche criminali e a certi modelli comportamentali deviati e devianti». L’abbraccio alla camorra vale per i più giovani e per i più grandi. Pasquale D’Onofrio, 28 anni e raggiunto da misura cautelare, si è fatto tatuare su una mano “Cipolletta Vincenzo”, con Vincenzo che è il soprannome del ras Olindo Cipolletta (pure lui arrestato), e poi il numero “219” che richiama alle palazzine della “219” dove i Cipolletta hanno la loro roccaforte. La sua volontà di “marchiarsi” la pelle è stata catturata da una intercettazione inequivocabile, una delle tante che sono al centro dell’inchiesta sfociata nelle contestazioni, mosse a vario titolo ai 27 destinatari di misura, di associazione di tipo mafioso nonché di tentata estorsione, estorsione, detenzione e porto di armi, pubblica intimidazione con uso di armi, incendio, tentato omicidio, ricettazione, associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti, detenzione a fine di spaccio di droga, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti, rapina, usura, sequestro di persona. Reati aggravati (per la maggior parte) dal metodo mafioso e dalla finalità di agevolare, a seconda delle posizioni, i clan camorristici Ferretti e Cipolletta.
martedì, 11 Febbraio 2025 - 11:13
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