Caso Vassallo, censure della Cassazione sul tavolo del Riesame: dichiarazioni di D’Atri «inutilizzabili», macigni su Ridosso

Il sindaco pescatore Angelo Vassallo
di Manuela Galletta

C’è un punto che il Tribunale del Riesame di Salerno, chiamato nuovamente a pronunciarsi sul ricorso presentato dal colonnello Fabio Cagnazzo e da altri tre indagati contro l’arresto per l’omicidio del sindaco-pescatore di Pollica Angelo Vassallo, non potrà ignorare. Ed è un punto normativo al quale è indissolubilmente legata l’ordinanza di custodia cautelare in carcere che, nel novembre 2024, s’è abbattuta come un macigno sul colonnello Cagnazzo, sull’ex carabiniere Lazzaro Cioffi e sull’imprenditore Giuseppe Cipriano.

Le dichiarazioni del pentito Eugenio D’Atri, che – pur essendo un de relato delle confidenze di Romolo Ridosso (considerato dai pm partecipe a un sopralluogo prima dell’omicidio) – vengono ritenute preminenti, ossia le più autorevoli, nel castello accusatorio – «sono inutilizzabili». Lo ha scritto nero su bianco la prima sezione penale della Corte di Cassazione (composta dal relatore Giacomo Rocchi, Francesco Centofanti, Maria Greca Zoncu, Francesco Aliffi e Mia Eugenai Oggero) nelle roventi motivazioni del provvedimento (riferito alla posizione di Cagnazzo) con il quale, mesi fa, ha annullato la prima decisione del Riesame (di Salerno) di confermare le accuse e il carcere per i tre indagati. E (principalmente) su quelle motivazioni, da questa mattina (23 maggio), stanno ragionando i giudici del Tribunale del Riesame: ieri, dinanzi a loro, è ritornato il fascicolo Vassallo; ieri, dinanzi a loro, sono ritornati i ricorsi, avverso l’arresto, di Cagnazzo, Cioffi e Cipriano. Gli avvocati degli indagati si sono alternati in discussioni fiume che si sono concluse solo in tarda serata.

Con l’annullamento della precedente decisione dei giudici della Libertà, gli ermellini hanno infatti disposto una nuova rilettura dell’incartamento, definendo – nelle motivazioni, sintetiche ma pesanti in alcune valutazioni – i perimetri entro i quali deve avvenire questa decisione: si deve partire, è la conclusione della Corte Suprema, dalla riconsiderazione delle dichiarazioni di D’Atri che vanno cancellate dal procedimento; si deve, poi, guardare con un occhio diverso al narrato del pentito Romolo Ridosso, perché – a parere della Cassazione – sulla presunta bontà di questo racconto «il Tribunale del Riesame ha sviluppato un ragionamento giuridico inadeguato»; e infine ci si deve interrogare meglio sugli elementi posti a sostegno del presunto movente dell’omicidio, quello di un presunto traffico di droga ad Acciaroli che sarebbe stato scoperto dal sindaco Vassallo. Tre temi sui quali poggia l’intera inchiesta della procura della Repubblica di Salerno.

Perché – per la Cassazione – le dichiarazioni di D’Atri sono inutilizzabili

Partiamo, dunque, dalle dichiarazioni di D’Atri. Cresciuto – criminalmente parlando – nella corte dei Sarno di Ponticelli (quartiere alla periferia est di Napoli), D’Atri cerca di passare a collaborare con la giustizia dopo essere stato travolto da una condanna all’ergastolo per avere fatto ammazzare due bravi ragazzi che rivendicavano il saldo di un debito di gioco maturato in un centro scommesse. Non riesce a fare convintamente breccia negli inquirenti, ma continua a dichiarare e nel 2022 chiede di conferire coi pm dicendosi in possesso di informazioni sul caso Vassallo. Spiega così di avere condiviso la cella, a Sollicciano, con Romolo Ridosso e di avere appreso da lui che nell’omicidio Vassallo erano coinvolti Cagnazzo, Cioffi e Cipriano. Fornisce anche delle indicazioni sul ruolo che ciascuno di questi avrebbe avuto. Sulla scorta di queste dichiarazioni, che rappresentano una novità investigativa, la procura di Salerno decide di riaprire le indagini e quindi riascolta Romolo Ridosso, il quale già in passato aveva negato ogni suo coinvolgimento nel delitto assumendo di non saperne niente. Stavolta Ridosso riferisce di avere saputo da Cipriano che ci sarebbe stato un coinvolgimento di Cagnazzo e Cioffi, poi si contraddice, ma soprattutto giura di non avere alcun ruolo nel delitto. Su quest’ultimo punto però la procura non gli crede, ritenendo che lui abbia partecipato a un sopralluogo. Ridosso, che sarebbe in qualche modo protagonista del delitto ma che – in base al suo narrato – ha tutte informazioni de relato (non è testimone diretto di nessuna fase dell’omicidio) finisce così con il riscontrare D’Atri (che non fa altro che riportare un racconto appreso da Ridosso che lo ha appreso da altri), che diventa – paradossalmente e incredibilmente – perno della pesante accusa.

Che le dichiarazioni di D’Atri vengano considerate «centrali» nell’ordinanza di custodia cautelare (e poi dal Riesame), lo sottolinea pure la Corte di Cassazione. Il passaggio determinante. La Corte Suprema, nelle sue motivazioni, chiarisce subito che le dichiarazioni di D’Atri «sono inutilizzabili». Il perché è presto spiegato: D’Atri viene sentito il 7 aprile 2022, sulla scorta di queste rivelazioni inedite la procura chiede l’autorizzazione a riaprire il caso (6 maggio 2022) e pochi giorni dopo la ottiene. Cosa accade a questo punto? La procura di Salerno tira dritto con i suoi atti di indagine ma – qui lo scivolone – non riascolta nuovamente D’Atri. Perché avrebbe dovuto farlo? Lo spiega la Cassazione: se una procura riapre una indagine (da lei condotta) sugli stessi indagati che erano stati archiviati e per le stesse accuse archiviate, allora eventuali nuove dichiarazioni acquisite a fascicolo archiviato – grazie alle quali è possibile riaprire il caso – devono essere necessariamente riacquisite quando il nuovo fascicolo è vivo, cioè (ri)aperto.

In sintesi: D’Atri avrebbe dovuto essere sentito di nuovo. Lo dice la norma, quella che la Corte Suprema richiama in maniera impietosa bacchettando, implicitamente, il Riesame: l’inutilizzabilità delle dichiarazioni di D’Atri, si legge nelle motivazioni, «è sancita dalla riforma del 30 dicembre del 2022» secondo la quale «gli atti di indagini compiuti in assenza di un provvedimento di riapertura del giudice sono inutilizzabili»; e ancora, «l’inutilizzabilità era stata già affermata dalle Sezioni unite» con la sentenza del 26 giugno 2010 su “Il difetto di autorizzazione alla riapertura delle indagini determina l’inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione”.

Dichiarazioni inutilizzabili, un albero malato che produce frutti marci: cosa comporta

Stando così le cose, per la Cassazione il racconto di D’Atri deve essere – in altri termini – cancellato. Non va tenuto in considerazione. In pratica, non c’è più alcuna possibilità di mettere in correlazione i racconti di più pentiti. Ma c’è di più: essendo a D’Atri collegati una serie di atti di indagine, la Cassazione avverte che, come frutti di un albero malato, anche tutto ciò che è collegato alle dichiarazioni inutilizzabili va considerato marcio. E gli atti a cui si riferisce la Corte Suprema altro non sono che l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Scrive, infatti, la Cassazione: le dichiarazioni di D’Atri – e allo stesso modo quelle di un altro malavitoso, Francesco Casillo, che ha riferito ai pm presunte confidenze ricevute da D’Atri – «erano certamente utili per la richiesta di autorizzazione alla riapertura delle indagini preliminari, correttamente accolta dal gip» ma «non potevano essere poste a base della richiesta di misura cautelare in quanto rese prima del decreto di autorizzazione».

La «valutazione frazionata» del racconto di Ridosso che non convince gli ermellini

Si giunge così al secondo punto “dolente” delle motivazioni della Cassazione: le dichiarazioni di Romolo Ridosso. Da sole – è la domanda cui dovrà rispondere il nuovo Riesame nel provvedimento tanto atteso – potranno bastare per fondare il giudizio di gravità indiziaria? Il pentito viene creduto dai pm (e a catena del gip e del Riesame) solo a metà: quando accusa, per averlo saputo da terzi, Cagnazzo, Cioffi e Cipriano. Ma viene ritenuto inattendibile quando egli stesso sostiene di non avere fatto parte del piano omicidiario, tanto è vero che la procura chiede e ottiene l’arresto in carcere (Ridosso non ha mai impugnato il provvedimento).

A fronte di ciò la Corte Suprema – che accusa il Riesame di avere compiuto su questo capitolo un «ragionamento giuridico inadeguato» – si chiede perché il Riesame (e prima ancora il gip e la procura), pur riconoscendo un «mendacio» narrativo del pentito rispetto alla sua posizione, non abbia valutato la possibilità che egli stesso manipolando il narrato intero per trarne un vantaggio e si è invece dato per assodato che un bugiardo acclarato stesse però raccontando la verità quando puntava il dito contro terze persone (sulla scorta di informazioni neanche di prima mano). Scrive esattamente la Cassazione: «Il Riesame non indica in modo convincente le ragioni per cui Ridosso, di cui pure ritiene ampiamente provato l’ostinato mendacio sulla sua personale partecipazione al fatto omicidio, sia invece da considerare credibile, e sia anzi dotato dell’elevato livello di affidabilità richiesto ai chiamanti in reità, quando, dopo anni di reticenza, riferisce per la prima volta le informazioni da lui possedute in merito all’omicidio del sindaco Vassallo, cui in tesi sarebbe rimasto del tutto estraneo, se non per avere partecipato a un sopralluogo organizzato da Cipriano a sua sedicente insaputa e al solo fine di ‘incastrarlo’».

La Cassazione continua a interrogarsi sul punto e si chiede: se la volontà del «mendacio» dichiarato di Ridosso fosse «la volontà di lucrare i benefici penitenziari sino a quel momento non ottenuti mantenendosi al riparo da una diretta incriminazione, questo elemento non deporrebbe affatto, sul piano logico e razione, a favore della credibile complessiva del dichiarante». Insomma, per la Cassazione «motivazioni meramente utilitaristiche di una chiama in reità e l’intento di conseguire vantaggi di vario genere, inquinano di fatto la genuinità della fonte e rendono ardui sceverare, in seno ad un errato giudicato solo parzialmente attendibile, i contenuti affidabili da quelli spuri o falsati».

Le conclusioni della Cassazione

La Cassazione conclude quindi, in maniera più rapida, a indicare al Riesame altri aspetti («passaggi logici del provvedimento») sul quale ragionare: «gli elementi dimostrativi della partecipazione di Cagnazzo al traffico di stupefacenti e, quindi, la condivisione da parte della causale dell’omicidio; la dimostrata impossibilità che Cagnazzo avesse partecipato materialmente all’esecuzione dell’omicidio; la rilevanza o meno della sua “assenza” dal ristorante nell’orario dell’omicidio; i motivi dell’aggressione a Cillo»; infine la «dimostrazione di un accordo preventivo relativo all’inquinamento delle indagini da parte di Cagnazzo: quali elementi sono indicativi del rafforzamento del proposito criminoso altrui mediante l’assicurazione del successivo depistaggio?».

venerdì, 23 Maggio 2025 - 10:00
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