C’è chi, esultando, parla di «sentenza storica». E chi, come Matteo Salvini, facendosi portavoce del malcontento di tutto il centrodestra, va all’attacco e cerca di screditare la Corte costituzionale sostenendo che quella firmata «è una sentenza politica, una sentenza di partito, di parte, perché ci sono tantissimi giuristi che stanno sostenendo l’esatto contrario».
Giovedì la Consulta ha dichiarato illegittimo, incostituzionale, il divieto per la madre “intenzionale” (quella che non ha partorito) di riconoscere in Italia il figlio nato da fecondazione assistita praticata legittimamente all’estero. Detto fuori dai denti, giovedì la Consulta ha bocciato su tutta la linea “L’articolo 8 della legge sulla fecondazione assistita, la numero 40 del 2004”. La sentenza numero 68 ha ritenuto fondante le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Lucca, al quale avevano espresso i propri rilievi – tramite l’avvocato Vincenzo Miri, presidente della Rete Lenford – Glenda Giovannardi e Isabella Passaglia, sposate e mamme di una bambina di tre anni e un bimbo di due, dopo che la procura di Lucca aveva impugnato il certificato di nascita del secondo figlio nato il 3 aprile 2023 a Lido di Camaiore dopo la scelta della procreazione assistita a Barcellona. Adesso la Consulta rimette le cose a posto: per i giudici, infatti, all’interno di una coppia omosessuale vietare il riconoscimento del figlio/a alla donna che ha prestato il consenso fecondativa all’estero non garantisce «il miglior interesse del minore», ma anzi integra la violazione degli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione.
La violazione dell’articolo 2 della Costituzione (sui diritti inviolabili dell’essere umano) si verifica, insistono i giudici, perché nel caso di specie si verifica «la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile». La violazione dell’articolo 3 della Costituzione si concretizza «per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un contro interesse di rango costituzionale». Infine l’articolo 30 della Costituzione viene violato perché c’è una lesione «dei diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli».
Ma non è tutto: per la Consulta la dichiarazione di illegittimità costituzionale fonda su due rilievi: «La responsabilità che deriva dall’impegno comune che una coppia si assume nel momento in cui decide di ricorrere alla Pma per generare un figlio, impegno dal quale, una volta assunto, nessuno dei due genitori, e in particolare la cosiddetta madre intenzionale, può sottrarsi» e «la centralità dell’interesse del minore a che l’insieme dei diritti che egli vanta nei confronti dei genitori valga, oltre che nei confronti della madre biologica, nei confronti della madre intenzionale».
Critica la ministra Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità: «Cancellare per scelta dalla vita dei bambini il papà o la mamma, che nessuna tecnica riproduttiva potrà mai eliminare – ha dichiarato – resta un mutamento antropologico che non potremo mai considerare un progresso sulla via dei diritti, ma la sottrazione al bambino di uno dei suoi diritti fondamentali». Di segno contrario la dichiarazione del sindaco di Napoli, nonché presidente Anci, Gaetano Manfredi (Pd): «La sentenza della Corte Costituzionale sulle famiglie arcobaleno fotografa i cambiamenti della nostra società, dimostrando che la strada intrapresa dal Comune di Napoli è giusta. Proseguiremo dunque nel riconoscimento dei figli nati da famiglie composte da due mamme sempre nell’ottica della tutela dei minori».
sabato, 24 Maggio 2025 - 10:20
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