Diceva Giovanni Falcone che i pentiti sono «un male necessario» per disarticolare dall’interno le organizzazioni criminali. E i “benefici” di legge per spingere un malavitoso a collaborare con la giustizia erano, e sono, un pedaggio inevitabile che lo Stato è chiamato a pagare. Quel pensiero è stato alla base della legge sui collaboratori di giustizia voluta da Giovanni Falcone al tempo della grande emergenza dello scontro Stato-mafia. Proprio quella legge, oggi più che mai, viene richiamata per cercare di rendere più accettabile la notizia del giorno: Giovanni Brusca, l’uomo che azionò il telecomando della bomba di Capaci che stroncò la vita a Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta, l’uomo che sciolse nell’acido il piccolo Giuseppe De Matteo, è libero in via definitiva.
A fine maggio sono trascorsi i 4 anni di libertà vigilata impostigli dalla magistratura di sorveglianza, ultimo debito con la giustizia del boss di San Giuseppe Jato che si è macchiato di decine di omicidi e che, dopo l’arresto e dopo un primo falso pentimento, decise di collaborare con la giustizia. Brusca ha scontato in tutto 25 anni di carcere: roventi polemiche seguirono la sua scarcerazione e la decisione di sottoporlo alla libertà vigilata. Brusca continuerà a vivere lontano dalla Sicilia sotto falsa identità e resterà sottoposto al programma di protezione.
Una notizia che viene commentata con rassegnata mestizia. «Come cittadina e come sorella, non posso nascondere il dolore e la profonda amarezza che questo momento inevitabilmente riapre . Ma come donna delle Istituzioni sento anche il dovere di affermare con forza che questa è la legge. Una legge, quella sui collaboratori di giustizia, voluta da Giovanni, e ritenuta indispensabile per scardinare le organizzazioni mafiose dall’interno», ha commentato Maria Falcone sorella di Giovanni Falcone. Brusca, ha ricordato Maria Falcone, «ha beneficiato di questa normativa, ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia che ha avuto un impatto significativo sulla lotta contro Cosa Nostra». Le sue confessioni, ha proseguito Maria Falcone, «hanno contribuito all’arresto di numerosi mafiosi e alla confisca di beni illeciti». «Tuttavia – ha sottolineato Falcone – non si può ignorare che la sua collaborazione non è stata, su ogni fronte, pienamente esaustiva. In particolare, rimane tuttora un’area nebulosa quella riguardante i beni a lui riconducibili, per i quali la magistratura ha il dovere di continuare a indagare e chiarire ogni dubbio: colpire i mafiosi nei loro interessi economici è la pena più dura, privarli del denaro è ciò che li annienta davvero». «Il mio giudizio personale, come sorella di Giovanni Falcone – ha concluso – oggi rimane distinto da quello istituzionale. Brusca è autore di crimini orrendi, come il rapimento e l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito, che fu tenuto prigioniero per 779 giorni e poi strangolato e sciolto nell’acido e non trovo parole per esprimere il mio dolore e rabbia personale che altrettanto e ancora più grande sarà da chi ha subito questi orrori. Ma proprio per questo, oggi rinnovo il mio impegno, e quello della Fondazione che porta il nome di Giovanni, a continuare a lavorare per il rispetto della legge, fondamento della nostra democrazia».
Non è felice Piero Grasso, già procuratore nazionale antimafia e presidente della Fondazione Scintille di Futuro, che però ricorda come la legge voluta da Giovanni Falcone abbia «consentito di radere al suolo la cupola di Riina, Provenzano e Messina Denaro, che negli anni 80 e 90 ha insanguinato Palermo, la Sicilia, l’Italia». «Grazie ai segreti confessati da Brusca infatti abbiamo potuto evitare altre stragi, incarcerare centinaia di mafiosi e condannarli a pene durissime e centinaia di ergastoli. Ripeto – ha continuato Grasso – quello che ho detto quattro anni fa: con Brusca lo Stato ha vinto tre volte: quando lo ha catturato, quando lo ha convinto a collaborare, ora che e’ un esempio per tutti gli altri mafiosi». «L’unica strada – ha spiegato – per non morire in carcere come Riina, Provenzano e Messina Denaro è collaborare con la giustizia. Certo è che se mai dovesse commettere un qualsiasi tipo di reato non avra’ alcuno sconto”. “Quello che mi preoccupa, e dobbiamo vigilare che non accada mai, è che si rischia di concedere benefici a chi, come Graviano, non ha mai collaborato. Il modo in cui uno Stato onora le vittime è contrastando la mafia e cercando di sconfiggerla con tutte le forze e con tutta la forza del diritto».
Più severe le parole Tina Montinaro moglie di Antonio, caposcorta del giudice Falcone, rimasto uccisi nella Strage di Capaci insieme ai colleghi Vito Schifani e Rocco Dicillo. «Ho appreso la notizia della liberazione definitiva di Giovanni Brusca. Lo so bene che è stata applicata la legge ma sono molto amareggiata. Ritengo che questa non è Giustizia né per i familiari né per le persone per bene – ha incalzato -. A distanza di 33 anni i processi continuano e noi familiari non sappiamo la verità. Credo sia indegno che Brusca, per quanto abbia avuto accesso alla legge sui collaboratori di giustizia sia libero. Mi aspetto che la città si indigni dinanzi a questa notizia. Se è vero che è cambiata. Ritengo che non si possa rimanere indifferenti». Si dice «sconcertato» Giuseppe Costanza, autista del giudice Giovanni Falcone e unico sopravvissuto alla strage di Capaci. «Non mi sarei aspettato una decisione di questo tipo. Essere scarcerati dopo 25 anni e magari con qualche vitalizio. È un premio? Dovrebbero uscire dalla tomba anche Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro Rocco Dicillo. E invece adesso Brusca ce l’abbiamo in giro. Viva l’Italia. Ecco, adesso festeggiamo la liberazione Per queste persone non dovrebbe esserci una decurtazione di pena, dovrebbero passare il resto della vita in galera. Queste cosa non dovrebbe succedere».
giovedì, 5 Giugno 2025 - 13:57
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