Napoli, inchiesta su immigrazione clandestina: avvocati e Caf al centro del business, coinvolto il clan Fabbrocino

La procura di Napoli
di Manuela Galletta

A capo del business c’erano tre avvocati che dirigevano altrettanti centri Caf. E il sistema era in grado di produrre un tale volume d’affari che la camorra ne aveva fiutato la portata e s’era infiltrata nel business.

Questa mattina la Polizia di Stato ha eseguito 45 misure cautelari nell’ambito di una ampia inchiesta, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, che ha portato alla luce l’esistenza, tra i comuni di San Giuseppe Vesuviano e Ottaviano, di tre distinte associazioni che, sfruttando le criticità della normativa relativa alle procedure di programmazione dei flussi di ingresso in Italia di stranieri (cd. Decreto Flussi), garantivano ad extracomunitari di nazionalità bengalese, interessati a entrare in Italia, la regolarizzazione della propria posizione tramite fittizi contratti di lavoro.

Undici persone, tra le quali i tre avvocati, sono stati raggiunti da una ordinanza di custodia cautelare in carcere; 23 persone (tra collaboratori e mediatori) sono state poste agli arresti domiciliari, mentre per altre undici – titolari di impresa – è stato disposto l’obbligo di firma. Tra gli arrestati anche un poliziotto, insospettabile, che aiutava, grazie alle competenze informatiche, l’organizzazione sgominata dalla Polizia di Stato. A vario titolo sono contestati i reati di associazione a delinquere, finalizzata al favoreggiamento della immigrazione clandestina pluriaggravato, estorsione aggravata dal metodo mafioso, falso ideologico e truffa. Eseguito anche un decreto di sequestro preventivo di beni e rapporti assicurativi per un valore complessivo di circa 2 milioni di euro.

Il sistema era semplice: gli avvocati e i Caf finiti nel mirino della procura si occupavano di gestire tutte le procedure, in cambio ovviamente di cospicue somme di denaro pagate dagli extracomunitari. Gli introiti erano così pesanti che – come spiegato in conferenza stampa dal procuratore Gratteri – uno degli avvocati indagati «si è da poco comprato una fiammante Ferrari». Nello specifico i responsabili del business «si occupavano di procurare agli interessati la documentazione, ideologicamente falsa, richiesta dalla normativa sui flussi migratori per un regolare ingresso in Italia, soprattutto attinente ad una disponibilità all’assunzione di imprenditori in realtà inesistente e all’idoneità degli alloggi in cui i lavoratori avrebbero dovuto essere ospitati, asseverando, in qualità di professionisti qualificati, la conformità alla legge di istanze corredate da documentazione truffaldina». I promotori del business, hanno spiegato gli inquirenti, utilizzando identità digitali (Spid) di altri associati (tra cui un appartenente alle forze dell’ordine), «avrebbero inoltrato complessivamente diverse migliaia di richieste di nulla osta, con l’effetto finale, qualora le pratiche truffaldine trattate avessero superato lo sbarramento temporale del meccanismo del cosiddetto click day, di favorire l’immigrazione clandestina».

Il secondo livello dell’associazione era costituito dai titolari di alcune imprese che mettevano a disposizione le proprie realtà aziendali per false assunzioni di cittadini extra Ue. Il terzo livello, infine, era costituito dagli extracomunitari interessati ad entrare in Italia: «Per assicurarsi il buon esito della propria istanza di assunzione – ha annotato il procuratore Nicola Gratteri in una nota stampa -, erano disposti a corrispondere, per il tramite di intermediari loro connazionali, anch’essi lautamente ricompensati dalle organizzazioni, somme di denaro che raggiungevano i novemila euro, generando in tal modo un giro d’affari di svariati milioni di euro».

«Ci troviamo davanti a un’organizzazione criminale che in modo sistematico stava approfittando di un’opportunità, non dico ci fosse una falla normativa ma delle facilitazioni – ha osservato Gratteri in conferenza stampa -. Spesso semplificazione significa facilitazione per i criminali».

Sullo sfondo la criminalità organizzata, che – intercettato il business – avrebbe rivendicato la sua parte: secondo gli inquirenti alcune persone collegate al clan Fabbrocino i sarebbero infiltrati nel giro d’affari assumendo «una duplice forma»: «quella della tipica attività estorsiva nei nei connoti dei professionisti del settore» e «quella della partecipazione diretta alla gestione delle pratiche lussi».

Alla base delle indagini ci sono attività tecniche come intercettazioni e servizi di osservazione, nonché approfondite analisi della documentazione acquista presso gli uffici competenti.

martedì, 10 Giugno 2025 - 11:57
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