Carceri, Piccirillo ai politici: «Chi entra da uomo, non deve uscire da bestia». Ciambriello: «Fare convegno in prigione»

di Daria Romano

In Italia ogni quattro giorni una persona si toglie la vita in carcere. Ogni otto ore, qualcun altro viene privato della propria libertà personale in assenza di responsabilità penale accertata. Oltre 62.000 detenuti vivono attualmente stipati in 45.000 posti detentivi. Alcuni hanno bisogno di cure, altri non dovrebbero neanche trovarsi in cella, eppure molti, in silenzio e nell’indifferenza, ci stanno. È in questo scenario, documentato nel report annuale sulle condizioni delle carceri redatto dal Garante Samuele Ciambriello, che lunedì 16 giugno, nella sala ‘G. Siani’ del Consiglio regionale della Campania, si è svolto il convegno ‘La politica incontra il carcere’ bis (nel 2022 si tenne il primo incontro con stesso titolo ed organizzatore).

Samuele Ciambriello, Garante regionale per le persone private della libertà e promotore dell’evento, costruisce così un ponte tra due mondi che spesso stentano a dialogare: da un lato garanti, operatori, volontari, cappellani e rappresentanti del terzo settore e dall’altro lato politica e istituzioni. Sul tavolo, Ciambriello mette subito i problemi: sovraffollamento, suicidi, tossicodipendenza, disagio psichico, abbandono sanitario. «A Poggioreale – ad una distanza di soli 300 metri dalla sala con comode poltrone in velluto blu e rinfrescante aria condizionata in cui si è tenuta l’iniziativa – ci sono ufficialmente 1.400 posti, ma oggi vivono lì più di 2.150 persone», fa presente Ciambriello. La realtà emergente è quella di piante organiche della Penitenziaria vecchie, ferme e sovraccariche. Eppure, illustra il Garante, «la metà dei tossicodipendenti detenuti in Campania (ad oggi 1704) è stata denunciata dai familiari» perché «una madre o un padre, vedendo strutture esterne non funzionanti, preferisce far arrestare il figlio purché stia ‘al sicuro’».

L’avvocato Francesco Giuseppe Piccirillo ricorda come il carcere abbia un ruolo di ‘termometro della legalità’: «Quando la legalità comincia ad andare in asfissia, i primi segnali li troviamo proprio lì. Il carcere misura la nostra civiltà». I riferimenti ai più recenti casi di detenuti picchiati in cella, da Avellino a Reggio Calabria, sono inevitabili: «Quando l’abuso viene giustificato, quando le botte ai detenuti sono accolte con un ‘hanno fatto bene’, è lì che muore lo Stato di diritto». E aggiunge: «Chi disprezza i detenuti, disprezza l’ultimo. E chi entra in carcere senza difese, senza dignità, uscirà peggio. E allora toccherà a noi, fuori, farci i conti. Ma chi  entra in carcere da uomo, non deve uscire da bestia».

A conferma di ciò, la senatrice Maria Domenica Castellone (Movimento 5 Stelle) riflette sul fatto che «oltre l’80% dei detenuti torna a delinquere», sancendo una notevole specularità tra il carcere e le disfunzioni del sistema sanitario e sociale: «Il nostro sistema penitenziario ha fallito. Non basta costruire nuove carceri. Se dentro si riproduce la stessa tossicità, non stiamo migliorando nulla. Anzi, peggioriamo».

Ma non finisce qui. Riaprendo il “libro bianco” dei report del 2024 emerge che maltrattamenti e abusi dietro le sbarre non hanno solo ha effetti devastanti sulla salute fisica e mentale dei detenuti ma alimentano pregiudizi già ampiamente radicati, che portano a vedere negli ex detenuti individui segnati e difficilmente recuperabili, compromessi e perciò non reinseribili in società. Negli ultimi 8 anni – raccontano i dati – l’età media dei morti per suicidio nelle carceri si è assestata intorno ai 40 anni, con un’impennata della curva non su ergastolani, come ci si sarebbe aspettati, ma su coloro che entrano in carcere per la prima volta, che vi si trovano da pochi mesi o che sono prossimi alla liberazione.

Per la deputata Michela Di Biase (Partito democratico), le strategie politiche dell’attuale Governo non favoriscono un superamento dei problemi dell’universo carcerario, anzi si procede a creare, ampliare «container detentivi» e a varare norme che «vanno nella direzione opposta» all’attuazione della «funzione rieducativa sancita dall’articolo 27 della Costituzione». «Siamo in una fase storica in cui lo Stato, invece di depenalizzare e ricorrere a misure alternative, continua ad ampliare l’ambito del penale – attacca la parlamentare -. E lo fa anche in modo surrettizio, come con l’inserimento di nuove aggravanti che rischiano di allungare inutilmente le pene detentive anche per reati minori. È questo il caso, ad esempio, del reato di resistenza passiva, che in alcuni casi è bastato a prolungare la detenzione di chi aveva rubato un portafoglio». Senza dimenticare, aggiunge Di Biase, il “Decreto Sicurezza”, che «ha introdotto 14 nuove fattispecie di reato, aggravando ulteriormente il sovraffollamento carcerario». La sensazione di Di Biase è che «si sta facendo un passo indietro, anche rispetto al codice Rocco del periodo fascista», quando invece «serve una riforma vera – dice Di Biase -: più psicologi, più educatori, più misure alternative. E più dignità per chi sta scontando una pena». «Si è detto in aula: neanche il codice Rocco prevedeva certe restrizioni. E allora, qual è il messaggio che vogliamo dare? È chiaro – conclude – che stiamo andando nella direzione sbagliata».

Carlo Mele, Garante della Provincia di Avellino, ha lanciato un monito chiaro in merito a questi temi caldi: «In molti istituti campani le attività sono sospese. I detenuti restano chiusi nei reparti, senza nulla da fare. Eppure, ogni detenuto costa allo Stato 250 euro al giorno». Tra le preoccupazioni più urgenti emerse nel corso del convegno, c’è infatti quella legata all’arrivo del caldo estivo. In molti istituti campani, i detenuti sono stipati in celle anguste, prive di ventilazione adeguata, spesso in tre o quattro per stanza progettata per uno o due. «Stiamo entrando nei mesi più critici», avverte il Garante di Avellino, «e in alcune carceri si parla già di razionamento dell’acqua. I detenuti resteranno nelle sezioni senza nulla da fare, con temperature insostenibili e condizioni igienico-sanitarie che peggioreranno ogni giorno».

Il senatore Sergio Rastrelli (Fratelli d’Italia) ha lanciato perciò un appello su larga scala, proponendo «un confronto parlamentare vero, responsabile, senza schemi ideologici», considerato che «tutte le soluzioni strutturali – dalla costruzione di nuovi penitenziari all’assunzione di 7.500 nuovi agenti – richiedono tempo per entrare a regime e nel frattempo i detenuti vivono in condizioni che non possono più attendere». La sua attenzione si concentra in primis su chi lavora dentro le carceri: agenti di polizia penitenziaria, personale amministrativo, operatori. «Quando capiremo che questi lavoratori non segregano, ma custodiscono, avremo compiuto – dice Rastrelli – un salto di qualità fondamentale» che permetterà di comprendere di doverli tutelare, anche e soprattutto a beneficio della popolazione detenuta.

Infine, Don Tonino Palmese ha richiamato tutti alla responsabilità morale: «Scuola, ospedale e carcere sono i luoghi sacri della Repubblica. Non per religione, ma per civiltà ma perché è lì che affidiamo la vita delle persone. Non dimentichiamolo mai».
Durante il dibattito sono intervenuti anche numerosi altri rappresentanti delle istituzioni, come il senatore Gianluca Cantalamessa (Lega), il coordinatore regionale in Campania di Noi Moderati Gigi Casciello, e l’onorevole Riccardo Magi (+Europa), nonché i Garanti territoriali della Campania Patrizia Sannino (Provincia di Benevento), Don Salvatore Saggiomo (Provincia di Caserta), Maria Giovanna Pagliarulo (Comune di Benevento).  «Facciamo un convegno dentro il carcere. Invitiamo i parlamentari. Ascoltino. Guardino. Sentano con mano cosa significa vivere lì dentro», è la proposta conclusiva di Ciambriello. «Noi siamo malati di diritti. E per fortuna – dice sorridendo – da questa malattia non vogliamo guarire».

mercoledì, 18 Giugno 2025 - 13:43
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