Una stretta di mano e due baci sulle guance. Gesto di umanità o comportamento non professionale? È questo il nodo del dibattito che si è aperto dopo quanto accaduto tra l’avvocato Flavio Rossi Albertini e il suo assistito, Alfredo Cospito, detenuto al 41-bis. Il legale ha salutato il proprio cliente al termine di un colloquio nel carcere di Sassari. Il personale della Polizia Penitenziaria ha segnalato l’episodio al direttore dell’istituto, che ha chiesto all’Ordine degli Avvocati di Roma una valutazione deontologica.
Il caso ha diviso la categoria. Si può, si deve, si dovrebbe mai salutare un detenuto con un gesto così intimo? Dove finisce il rapporto professionale e dove inizia la relazione personale? Qual è il confine tra empatia e tecnicità nel mestiere di avvocato?
Deontologia e immagine della professione
C’è chi sostiene che simili comportamenti siano incompatibili con il ruolo dell’avvocato, ritenendo che baciare un detenuto, in aula o altrove, non sia professionale e che sia necessario separare in modo netto il piano personale da quello professionale. Secondo questa impostazione, il rapporto tra avvocato e assistito deve rimanere nei binari del distacco professionale e del decoro formale. Il gesto dell’abbraccio o del bacio viene così percepito come una “confusione di piani”, quasi una commistione indebita tra la sfera personale e quella tecnica.
C’è anche chi sottolinea che l’empatia non richiede necessariamente gesti fisici, ricordando che esiste un dovere di decoro professionale che non ammette certe esternazioni, soprattutto quando si indossa la toga. Per questa parte della categoria, baciare un cliente, e ancora di più un detenuto in aula, rappresenterebbe un approccio che travalica i confini del ruolo tecnico dell’avvocato, riducendo la professione a una dimensione eccessivamente sentimentale ed emotiva, a scapito della necessaria compostezza che il mestiere richiede.
La posizione di chi riconosce il valore umano
Altri avvocati, invece, rivendicano il diritto di stabilire un rapporto umano con il proprio assistito, soprattutto quando le circostanze – come il regime del 41-bis – possono amplificare la dimensione della solitudine e della deprivazione affettiva. Secondo questa visione, esistono situazioni in cui il cliente diventa amico e l’amico diventa cliente, e non è raro che un avvocato si trovi a difendere qualcuno con cui ha un legame personale. In aula, come nella vita, ci sono casi e contesti che sfuggono alle regole scritte e che richiedono sensibilità nel valutare il confine tra il ruolo professionale e il rapporto umano.
Lo stesso avvocato Flavio Rossi Albertini difende con chiarezza il suo gesto: «Verso Cospito ho manifestato empatia umana salutandolo con una stretta di mano e con due bacetti sulle guance. Lo saluterò sempre con affetto, in quanto non intendo rendermi complice della sua deumanizzazione, delle politiche di annientamento del detenuto».
La Camera penale di Napoli: «La segnalazione merita una strenua opposizione»
Accanto a queste due posizioni, si sviluppa poi la questione della sussistenza di un procedimento disciplinare? Un piano di discussione sul quale è intervenuta la Camera penale di Napoli, guidata da Marco Muscariello, che senza giri di parole ha censurato la segnalazione al Consiglio dell’Ordine degli avvocati ritenendo che essa «scaturisce da una visione della carcerazione in aperta violazione dei principi costituzionali, che nessuno di noi può tollerare» e sottolineando che, per tali ragioni, essa «merita la più strenua opposizione».«Il collega Flavio Rossi Albertini è stato ingiustificatamente segnalato dalla direzione del Carcere di Bancali all’ufficio di disciplina dell’ordine di Sassari», afferma la giunta della Camera penale in una nota stampa sostenendo che «è evidente il tentativo di far crescere nell’opinione pubblica sempre più l’idea che il regime del carcere duro sia un male necessario che necessita di una ben precisa delimitazione di ogni contatto umano anche con il difensore». «E non importa – aggiunge la Camera penale partenopea – che la volontà di veicolare ed affermare tali principi distorti e fuorvianti porti alla criminalizzazione del corretto operato di un avvocato serio, preparato che da anni difende con estrema competenza e professionalità il suo assistito senza dimenticare di dover combattere anche l’ulteriore battaglia – che tutti noi sosteniamo e continueremo a sostenere – di resistere alla volontà di eliminare ogni traccia di umanità nei confronti di chi è ristretto in regime di carcere duro».
La questione aperta
Il dibattito solleva domande non scontate: il decoro professionale può essere definito solo da regole formali o deve tener conto anche delle condizioni umane specifiche? E, ancora: una stretta di mano e due baci possono essere davvero percepiti come pericolosi, al punto da meritare una segnalazione? Infine: la deontologia deve limitarsi a disciplinare i comportamenti o può – e deve – lasciare spazio alle eccezioni che tengono conto del contesto? Domande che, al di là del caso specifico, chiamano la professione forense a interrogarsi sul delicato equilibrio tra rigore, umanità e percezione pubblica della giustizia.
lunedì, 23 Giugno 2025 - 22:04
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