Lui non c’è più, è venuto a mancare nel 2017. Ma il suo nome adesso aleggia in maniera fastidiosa e inquietante attorno al caso, mai chiuso, della strage di via D’Amelio a Palermo, in cui – il 19 luglio 1992 – morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. Giovanni Tinebra, l’ex procuratore di Caltanissetta che fu il primo ad occuparsi delle indagini su quell’attentato durante il primo depistaggio e che poi nel 2011 fu nominato dal Governo Berlusconi capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, apparteneva alla loggia massonica “Victoria” di Nicosia (in provincia di Enna) che sarebbe stata legata alla mafia: lo sospetta la procura di Caltanissetta, guidata oggi dal procuratore Salvatore De Luca, che sta continuando ad affondare le mani nella melma che circonda e copre da decenni la verità sulla morte di Paolo Borsellino.
Vi è di più: nell’ambito di questa sua “affiliazione” Tinebra – sostiene oggi la magistratura – si sarebbe occupato di far sparire la fantomatica “agenda rossa” di Borsellino, quella usata dal giudice negli ultimi mesi della sua vita per annotare appunti sulla mafia e in particolare sulle attività legate all’omicidio dell’amico e giudice Giovanni Falcone, ucciso 57 giorni prima (23 maggio 1992) nella strage di Capaci a Palermo. L’agenda è scomparsa dopo l’attentato e adesso spunta l’idea che sia finita nelle mani di Tinebra. Di qui un’attività investigativa necessaria ma dall’esito più incerto che mai: nella giornata di ieri i carabinieri del Ros hanno perquisito tre abitazioni dove Tinebra ha vissuto. L’obiettivo – si legge nel decreto di perquisizione – è quello di «lumeggiare il contesto in cui si collocarono l’ormai accertato depistaggio sulla strage e la “sparizione” dell’agenda rossa». Tradotto: bisogna cercare indizi per risalire al diario segreto di Borsellino ma anche fare piena luce sul pentimento di Vincenzo Scarantino, che un pezzo di magistratura ritenne attendibile e centrale in determinate ricostruzioni e che, invece, un’altra costola di pm ha sempre guardato con diffidenza come Ilda Boccassini, per la quale è sempre stato evidente che Scarantino fosse inattendibile.
Ma perché si arriva a Tinebra? Gli inquirenti hanno acquisito un appunto datato 20 luglio 1992, a firma dell’ex capo della Squadra mobile ed questore di Palermo Arnaldo La Barbera, in cui si legge: «In data odierna, alle 12, viene consegnato al dr. Tinebra, uno scapolo in cartone contenente una borsa in pelle ed un’agenda appartenenti al giudice Borsellino». L’appunto, come reso noto dagli inquirenti, è stato rinvenuto negli archivi della Squadra mobile di Palermo. Per provare a fare chiarezza sul contenuto della scatola consegnata a Tinebra, si è così deciso di tentare la strada delle perquisizioni. Una mossa “disperata”, ma anche la possibile. La Barbera non può più parlare: è morto nel dicembre 2002. Al tempo fu anche ascoltato dai magistrati ma non fece mai menzione a quella scatola o all’agenda rossa.
E, allora, resta sulla carta il pesante interrogativo: perché Tinebra avrebbe dovuto avvelenare i pozzi delle indagini sull’attentato a Borsellino? Lo sguardo volge alla loggia massonica “Victoria” di Nicosia in provincia di Enna, dove il magistrato aveva lavorato come procuratore dal 1969 al 1992. Rileggendo vecchie intercettazioni e interrogatori e sulla scorta di nuovi elementi, gli inquirenti si sono convinti che Tinebra avrebbe fatto parte di questa associazione. A dirlo, del resto, fu Salvatore Spinello, gran maestro della Serenissima Gran Loggia nazionale del Grande Oriente scozzese d’Italia, parlando – nel 1996 – con Giuliano Di Bernardo, gran maestro della Loggia Regolare d’Italia: «Tinebra è dei nostri anche lui, era della loggia di Nicosia». Quella conversazione era intercettata.
venerdì, 27 Giugno 2025 - 09:37
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