Napoli, agente della Penitenziaria si toglie la vita nel carcere di Secondigliano: lascia 2 figli. Sappe: «Istituzioni silenti»

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di maga

La notizia è stata data dai sindacati, che lamentano il «silenzio assordante delle istituzioni». Questa mattina a Napoli, all’interno del parcheggio della casa circondariale di Secondigliano, un agente della Polizia penitenziaria si è tolto la vita. L’uomo, P.B., aveva 58 anni. L’agente si è suicidato, sparandosi un colpo di pistola con l’arma di ordinanza.

«Era un agente stimato e rispettato da colleghi e superiori, uomo silenzioso, riservato e sempre disponibile. Lascia nel dolore la moglie e due figli, a cui esprimiamo il nostro più sentito cordoglio e tutta la nostra vicinanza», ha scritto in una nota il sindacato Con.Si.Pe. – Confederazione Sindacati penitenziaria. «Questo ennesimo evento tragico riporta al centro dell’attenzione una questione che non può più essere rimandata: la tutela reale del benessere psicofisico del personale di Polizia penitenziaria – aggiunge il sindaco -. Non bastano parole o protocolli formali: servono interventi concreti, strutturati e duraturi, a partire da presidi psicologici reali, supporto costante, e un sistema che riconosca e protegga la fragilità umana di chi indossa la divisa. Ogni vita spezzata è una sconfitta collettiva. Il tempo del silenzio e dell’indifferenza è finito».

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Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia Penitenziaria ha ricordato che l’agente morto oggi  «è il terzo operatore che dall’inizio dell’anno si suicida (36 i detenuti), segno evidente di una situazione carceraria che porta allo stremo e toglie qualsiasi speranza». «Con 16mila detenuti in eccesso e 18mila agenti mancanti i carichi di lavoro sono insostenibili e le turnazioni di servizio si protraggono sino a 26 ore continuative, per giunta il lavoro straordinario non viene pagato o viene remunerato meno dell’ordinario in quello che si configura come un vero e proprio caporalato di Stato», prosegue De Fazio. «Servono a poco gli improbabili supporti psicologici a valle del problema, ma occorre prevenirlo a monte rendendo vivibili e ‘lavorabili’ le carceri, che ormai sono alimentatori di cimiteri – conclude De Fazio – Adesso, però, ci raccogliamo intorno al dolore dei congiunti del collega e di quanti lo conoscevano, cui esprimiamo tutta la nostra vicinanza».

Donato Capece, segretario generale del Sappe, sottolinea che quello dell’Agente della Penitenziaria è un lavoro che logora: «Turni estenuanti, stress continuo, carichi emotivi enormi, mancanza di ascolto da parte delle istituzioni, condizioni strutturali e lavorative sempre più difficili. E a tutto questo si aggiunge una solitudine profonda, quella che spesso avvolge chi chiede aiuto e non viene ascoltato». E denuncia che, a fronte delle tragedie che si verificano all’interno del Corpo, «il silenzio delle istituzioni diventa sempre più assordante». «Le nostre denunce non sono solo numeri o statistiche: sono storie di uomini e donne che chiedono dignità, rispetto, supporto. Oggi – conclude Capece – ci stringiamo con infinita commozione alla famiglia del collega, condividendo il loro immenso dolore. A lui va il nostro abbraccio più affettuoso, il nostro pensiero più sincero. Che il suo sacrificio non venga dimenticato e possa servire da monito per un cambiamento non più rimandabile. Servono azioni concrete sui temi dello stress psico-fisico dei Baschi Azzurri».

Infine, il segretario generale del SinapPe Roberto Santini rimarca il contesto della drammaticità delle condizioni carcerarie in cui si annidano i germi di tragedie come quella accaduta oggi. «Con oltre 16.000 detenuti in esubero e circa 18.000 unità di personale mancanti, gli operatori sono sottoposti a carichi di lavoro insostenibili, con turni che si protraggono anche per 24-26 ore consecutive, mentre il lavoro straordinario spesso non viene retribuito, o viene remunerato meno del dovuto – dice Santini -. È una condizione che rasenta il caporalato di Stato». «Sappiamo bene – prosegue Santini – che un gesto così drammatico nasce da una molteplicità di fattori: psicologici, biologici, sociali. Ma è evidente che il contesto lavorativo carcerario ha un impatto diretto e devastante sul benessere psico-fisico degli operatori. Le carceri sono diventate luoghi di violenza sistemica, omicidi, risse, atti autolesionistici, aggressioni. Un ambiente simile genera una pericolosa assuefazione ai gesti estremi, come se la morte, dentro quelle mura, avesse ormai perso la sua inaccettabilità». Santini chiede quindi che le carceri tornino «a essere luoghi di legalità, non di disperazione. Oggi, però, ogni riflessione lascia spazio al cordoglio più profondo: ci stringiamo con rispetto e commozione attorno alla famiglia del collega scomparso, condividendo il dolore di quanti gli hanno voluto bene».

venerdì, 27 Giugno 2025 - 17:00
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