La condanna è arrivata, del resto sulla responsabilità di Daniele Rezza per l’omicidio di Manuel Mastrapasqua non vi erano dubbi. Quello che invece era da stabilire riguardava l’entità della pena. La procura aveva chiesto 20 anni di reclusione con l’esclusione di tutte le aggravanti contestate e il riconoscimento delle attenuanti generiche, ieri (mercoledì 2 luglio) la Corte d’Assise di Milano (presidente Antonella Bertoja) si è pronunciata, dopo tre ore di camera di consiglio, per una pena a 27 anni di reclusione. Applicata la continuazione tra i due reati, esclusa la sola aggravante del nesso teleologico tra omicidio e rapina (restano quelle dei futili motivi e della minorata difesa) e riconosciute le attenuanti generiche equivalenti.
Ventisette anni di reclusione, dunque. Non abbastanza, secondo la famiglia della vittima, per garantire una prolungata permanenza in carcere dell’imputato. «Ventisette anni e li deve fare tutti in carcere. Anche se so che non sarà così, personalmente credo che tra qualche anno lo vedremo in giro», dice con un pizzico di amarezza Angela Brescia, la mamma di Manuel Mastrapasqua, ammazzato l’11 ottobre dello scorso anno a Rozzano. Manuel aveva 31 anni e fu colpito a coltellate per un paio di cuffie wireless da 14 euro. Ad ucciderlo è stato Daniele Rezza, 20 anni.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Mastrapasqua stava tornando a casa dopo un turno in un supermercato di via Farini, quando è stato aggredito da Rezza. «Quando l’ho visto volevo prendergli tutto: soldi, cellulare, qualsiasi cosa potessi rivendere», aveva raccontato Rezza durante l’interrogatorio di garanzia davanti al gip Domenico Santoro. Manuel stava registrando un audio su WhatsApp da inviare alla fidanzata al momento dell’aggressione e quell’audio ha catturato gli assurdi attimi dell’omicidio. L’avvocato di parte civile l’ha fatto sentire in aula. «Questo è Manuel che sta morendo», ha spiegato l’avvocato di parte civile mentre faceva ascoltare l’audio ai giudici prima del ritiro della Corte in camera di consiglio. «Manuel era un bravo ragazzo. Educato. È nato prematuro, ha lottato per vivere e ce l’ha fatta. Fino a quando non ha incontrato Daniele Rezza sulla sua strada», ha detto l’avvocata Minotti, contestando la richiesta della procura: «Vent’anni non sono giustizia». Nella requisitoria, il pm – per motivare la richiesta di attenenuanti – ha evidenziato «il contesto sociale e familiare» dell’imputato, descrivendolo come «trascurato e caratterizzati da violenza cronica». Parole che non sono piaciute al fratello di Manuel. «La pm aveva messo come attenuante il fatto che lui era cresciuto a Rozzano con una famiglia non presente. Anche io sono cresciuto senza un padre e da adolescente ero più in giro che a casa. Però non ho mai fatto niente – ha osservato Michael Mastrapasqua, fratello minore di Manuel – Non ho mai preso la scusa del ‘sono a Rozzano e quindi faccio queste cose’. Non è una giustificazione perché non penso che tutti i ragazzi che crescono a Rozzano facciano queste cose. Lui poi è recidivo, non è la prima volta che usa un coltello. Doveva essere fermato prima».
«Non era mio intento ammazzarlo, volevo solo rapinarlo. Mi sono avvicinato con il coltello per farmi dare quello che aveva e lui ha reagito», ha detto Rezza in aula. Dopo l’aggressione, Rezza ha raggiunto il padre che lo ha accompagnato alla stazione di Pieve Emanuele. Da lì, Rezza ha preso un treno per Pavia, poi un autobus per Alessandria, dove si è di fatto costituito.
Rezza è imputato in un altro procedimento per un’aggressione avvenuta a fine giugno 2024, anche in quel caso con un coltello. La vittima, per fortuna, riportò solo un piccolo taglio.
giovedì, 3 Luglio 2025 - 09:33
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