Una donna campana di 44 anni, affetta da sclerosi laterale amiotrofica (Sla), ha visto negato il suo diritto ad accedere al suicidio medicalmente assistito dalla propria azienda sanitaria. La sua richiesta, che rientrava nei parametri stabiliti dalla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, è stata bocciata sulla base di motivazioni che sembrano ignorare completamente la sua condizione di sofferenza estrema.
Il nome scelto dalla donna, per tutelare la sua privacy, è “Coletta”. Affetta da Sla, “Coletta” vive ormai una condizione di totale dipendenza, incapace di svolgere qualsiasi attività quotidiana senza l’assistenza di familiari e caregiver. Non riesce a nutrirsi, a bere, né a muoversi autonomamente. La sua malattia, progressivamente debilitante, le ha sottratto corpo e voce, riducendo la sua esistenza a un tormento senza fine. Tuttavia, nonostante questa condizione di sofferenza, la richiesta di morte assistita è stata negata. Il motivo? Secondo l’azienda sanitaria, mancherebbero tre dei quattro requisiti previsti per la morte volontaria assistita: la volontà di procedere, la dipendenza da trattamenti vitali e la presenza di sofferenze intollerabili.
La risposta di “Coletta” è un grido di dolore, ma anche di dignità:
«In quanto cittadina consapevole, lucida e determinata – ha dichiarato “Coletta” – non posso accettare che la mia volontà venga schiacciata da valutazioni che sembrano ignorare non solo il mio stato di salute, ma anche il diritto a non essere condannata a una sofferenza che non ha più alcun senso per me. Se in Italia non posso accedere a una scelta legalmente garantita, sto valutando di affrontare l’unica alternativa praticabile: l’espatrio per morire dignitosamente in Svizzera».
Queste parole sono un colpo al cuore, un grido di libertà per chi vive intrappolato in un corpo che non è più in grado di rispondere alle proprie esigenze. Ma, soprattutto, sono la denuncia di un sistema che ancora non è pronto ad ascoltare la sofferenza di chi vive in condizioni estreme, ma non ha il diritto di scegliere il proprio destino.
L’avvocata Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni e coordinatrice del collegio legale che assiste “Coletta”, esprime tutta la sua indignazione: «Negare l’esistenza di un trattamento di sostegno vitale e di una condizione di sofferenza intollerabile è sconcertante. Altrettanto lo è strumentalizzare il significato profondo che “Coletta” attribuisce all’amore per la vita, utilizzandolo per mettere in discussione la sua volontà di accedere alla morte assistita. Questa valutazione contraddice apertamente la giurisprudenza della Corte costituzionale.»
Un sistema che si volta dall’altra parte: le responsabilità della Regione Campania
Ma non finisce qui. A un anno dalla presentazione della legge regionale “Liberi Subito” – una proposta che mirava a rendere più facile l’accesso alla morte volontaria assistita in Campania – la Regione continua a restare immobile. Il progetto, depositato da oltre un anno, è stato congelato senza discussioni, nonostante il sacrificio di 75 persone che hanno partecipato a un digiuno a staffetta per sensibilizzare l’opinione pubblica. Non solo: lo stesso presidente Vincenzo De Luca ha bloccato la legge, giustificando la sua posizione con la necessità di aprire un ciclo di consultazioni, che però non è mai stato avviato. La mossa ostruzionistica di De Luca ha di fatto procrastinato qualsiasi risposta concreta alle richieste di persone come “Coletta”, costringendole ad aspettare invano per anni.
Marco Cappato, Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, punta il dito contro l’immobilismo regionale: «In Campania, la nostra proposta di legge è stata bloccata da un presidente che ha preferito fare propaganda piuttosto che dare risposte concrete a chi sta soffrendo. La Regione continua a tergiversare, mentre la sofferenza delle persone è reale, tangibile e non può essere ignorata.»
Il caso di “Coletta” non è un’eccezione.
Nel 2021, un altro campano, Gianpaolo Galietta, 47 anni, affetto da atrofia muscolare spinale, aveva presentato una richiesta simile, ma, a causa dei ritardi burocratici e della mancanza di risposte, si è visto costretto a scegliere la sedazione palliativa profonda, morendo dopo soli due giorni. Ancora una volta, la Campania è venuta meno al suo dovere di garantire i diritti fondamentali dei cittadini.
martedì, 5 Agosto 2025 - 11:09
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