Emilio Fede è morto a 94 anni nella Residenza San Felice di Segrate, alle porte di Milano, dove era ricoverato da tempo e le cui condizioni di salute si erano aggravate nelle ultime settimane. Con lui se ne va una figura che ha segnato, nel bene e nel male, decenni di giornalismo televisivo italiano: inviato, conduttore, direttore, uomo di potere e infine protagonista di clamorose vicende giudiziarie.
Nato a Barcellona Pozzo di Gotto il 24 giugno 1931, figlio di un maresciallo dei carabinieri e di una cantante lirica, aveva iniziato il suo percorso nel 1958 in Rai, come conduttore de Il circolo dei castori insieme a Enza Sampò e Febo Conti. Poi il salto di qualità: inviato in Africa per otto anni, raccontò guerre e rivoluzioni, fino a entrare nella redazione di Tv7 con Sergio Zavoli. Dal 1976 fu conduttore del Tg1, di cui nel 1981 divenne direttore. Sotto la sua guida, la testata trasmise la diretta interminabile di Vermicino, seguita da milioni di italiani.
Il rapporto con la Rai si chiuse nel 1987 dopo un processo per gioco d’azzardo dal quale uscì assolto. Da lì iniziò una seconda vita professionale: prima la fondazione del TgA su Rete A, poi l’approdo in Fininvest. Nel 1991 inaugurò Studio Aperto su Italia 1 con la notizia in diretta dell’operazione “Desert Storm”, durante la guerra del Golfo. Fu il primo telegiornale a informare anche della cattura dei piloti Gianmarco Bellini e Maurizio Cocciolone, con l’intervista del prigioniero che entrò nella storia televisiva.
Nel 1992 Silvio Berlusconi lo volle al Tg4: lì rimase per vent’anni. La testata divenne il suo regno personale, non solo un notiziario ma un palcoscenico. Al di là della cronaca, Fede metteva se stesso in scena: commenti, sfoghi, gaffe rimaste proverbiali. «Che figura di m…», scappato in diretta, divenne virale, mentre Crozza lo imitava e i fuori onda lo trasformavano in personaggio pop.
Ma la sua cifra più nota fu la fedeltà a Berlusconi. Difensore instancabile del Cavaliere, ne celebrava la linea politica ogni sera, guadagnandosi l’accusa di essere un “megafono” più che un giornalista. Una fedeltà che gli assicurò però un posto fisso nella battaglia mediatica degli anni Novanta e Duemila.
La parabola si interruppe nel 2012: la rottura con Mediaset, i ricorsi falliti, le inchieste giudiziarie. Coinvolto nel processo Ruby, nel 2013 venne condannato in primo grado a sette anni per favoreggiamento della prostituzione, pena poi ridotta a quattro anni e sette mesi. I tribunali respinsero anche la sua richiesta di reintegro a Mediaset e di risarcimento milionario, imponendogli anzi di pagare le spese processuali.
La vita privata fu segnata dall’amore per Diana De Feo, giornalista e parlamentare di Forza Italia, sposata nel 1963 e scomparsa nel 2021 dopo quasi sessant’anni di matrimonio. La sua morte lasciò Fede vedovo e profondamente segnato.
Fede amava ripetere: «Sono caduto, ma non ho mai smesso di essere Emilio Fede». Una frase che riassume la traiettoria di un uomo che ha incarnato, tra luci e ombre, una stagione irripetibile della televisione italiana.
martedì, 2 Settembre 2025 - 19:50
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