Napoli, morto il giudice Morello: assolse Tortora in Appello restituendo dignità alla giustizia

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di maga

In una delle sue rare interviste, Michele Morello sintetizzò così il senso più profondo della sua funzione di magistrato: si deve agire secondo coscienza, “senza guardare in faccia a nessuno”, correndo anche il rischio di farsi dei nemici. E secondo coscienza, pagando anche il prezzo di un isolamento amaro, agì quando — da consigliere della Corte d’Appello di Napoli — fu relatore della sentenza che, il 15 settembre 1986, assolse Enzo Tortora dalle infamanti accuse di collusione con la camorra. 
Quel giudice che lesse e rilesse gli atti, ricomponendo il puzzle di un clamoroso errore giudiziario, si è spento oggi all’età di 93 anni. Della riservatezza aveva fatto uno stile di vita, un uomo di rigore e di misura, estraneo a ogni protagonismo mediatico. «Un magistrato che ha saputo unire rigore e umanità, restituendo alla giustizia la sua funzione più alta: quella di servire la verità», lo ricorda oggi l’Unione Camere Penali Italiane, che lo definisce «un esempio di rettitudine e onestà intellettuale, valori sempre più rari in una società che troppo spesso si affida al processo mediatico e al giustizialismo superficiale».

Nel 2023 Morello ricevette il Premio Internazionale Nassiriya per la Pace, per «aver riportato la vicenda Tortora sui binari della verità e posto fine a uno dei più clamorosi casi di malagiustizia in Italia». Un riconoscimento discreto, come la sua figura, ma carico di significato.

A restituire oggi il lato più intimo e umano del giudice Morello è stato il figlio Tullio, anch’egli magistrato, che nel 2022, partecipando a un incontro organizzato dagli avvocati a Napoli – consegnò alla platea un racconto inedito. Dopo la sentenza di assoluzione, il giudice Morello conobbe l’ostracismo di una parte della magistratura. «Abbiamo vissuto mesi, forse anni dolorosi – raccontò Tullio Morello – vedendo colleghi che prima ci salutavano e poi cambiavano marciapiede. Su quel processo pesava una pressione anomala». Fu persino sottoposto a procedimento disciplinare per una frase pronunciata ai giornalisti subito dopo la sentenza: «Abbiamo condannato chi andava condannato e assolto chi andava assolto». Eppure, nonostante tutto, Michele Morello non si servì mai della stampa per parlare di quanto gli stava accadendo. «Nonostante tutto – sottolinea il figlio – non ha mai smesso di credere nella magistratura. Avrebbe potuto dire quello che voleva, ma non l’ha fatto. Sapeva che giudicare è la cosa più difficile e che serve essere superiori anche all’astio».

Il lascito morale
Per l’Unione Camere Penali, «la vicenda Tortora resta un monito contro l’approssimazione e il pregiudizio che conducono all’errore giudiziario. Il ricordo di Michele Morello deve spingerci a riflettere sulle tante vittime della malagiustizia, molte delle quali non hanno avuto la fortuna di incontrare un giudice coraggioso come lui».
Michele Morello lascia l’immagine di un magistrato che scelse il silenzio al clamore, la coscienza al conformismo, la giustizia al potere. Un uomo che non cercò mai riflettori, ma la verità. E che in un’aula di tribunale, una volta per tutte, restituì dignità alla giustizia italiana.

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giovedì, 9 Ottobre 2025 - 19:20
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