Accusato di usura dalla zia, piange in aula: «Niente interessi, volevo solo aiutarla
Mi ha denunciato per non ridarmi i soldi»

di Dario Striano

«Non meritiamo di stare in tribunale. Siamo brava gente. Una famiglia di lavoratori e risparmiatori. Siamo vittima di una trappola montata ad arte». Raffaele Di Luca, il marittimo di Torre del Greco accusato di usura assieme al padre e alla madre, Biagio Di Luca e Angiolina Di Sarno, piange e urla mentre, sul banco degli imputati, racconta la sua verità. Una verità capovolta rispetto alla tesi portata avanti dalla procura. Una verità che vuole invece la parte offesa di questa storia, la zia di De Luca, la vera aguzzina.
Di Luca, sospettato di aver prestato tra il 2013 e il 2014 soldi circa 11mila euro «con tasso usurante alla zia» (costituitasi parte civile nel processo tramite l’avvocato Michele Polese), parte da quel maledetto giorno di cinque anni, quando si decide a prestare dei soldi alla zia (la moglie del fratello di suo padre). «Venne a casa mia e dei miei genitori col figlio. – spiega l’imputato – Disse che mio cugino aveva fatto un guaio. Per comprare una Smart aveva pagato un intermediario che non aveva però poi portato i soldi, circa 6 mila euro, al vecchio proprietario dell’auto. Era realmente disperata ed aveva paura per le minacce subite. Mi chiese un prestito ma io rifiutai. Sapevo che quei soldi non mi sarebbero stati più restituiti». All’ennesimo rifiuto, secondo quanto raccontato in aula dall’imputato, la donna non si sarebbe comunque scoraggiata, arrivando persino a «buttarsi con la testa nel muro» e a «presentarsi per 3 giorni consecutivi» a casa della famiglia Di Luca. «Inventai una scusa  – continua Raffaele Di Luca – Le dissi che le avrei prestato 6mila euro ma che quei soldi non erano i miei. Quindi ci accordammo per una restituzione a rate di 350 euro al mese fino all’estinzione del debito». Quei soldi però l’imputato non li avrebbe più rivisti anche a causa di un debito che la zia avrebbe contratto con un gioielliere di Torre del Greco. «Un debito di circa 2mila euro – rivela Di Luca – Fu stesso lei a dirmelo. Mi chiese di abbassare la rata a 250 euro, annunciandomi che mensilmente mi avrebbe dato anche 100 euro da restituire al commerciante. Acconsentii e mio padre si assunse l’onere con il gioielliere di estinguere il debito di Anna. Onere che ha continuato ad assumersi anche quando mia zia non ci portava i soldi».
E’ la storia di un dramma familiare quella che racconta con foga dall’imputato. «Nonostante non fosse puntuale nella restituzione dei soldi, mia zia continuava a chiedermi prestiti. – ha continuato Raffaele Di Luca – Dapprima uno di mille euro, che rifiutai, per aiutare il figlio. Poi un altro di 5mila euro per le cure sue e di suo marito, mio zio. Disse che avevano entrambi gravi problemi di salute e che mi avrebbero restituito immediatamente i soldi. A garanzia mi mostrò e consegnò un certificato di deposito di 5mila euro della banca e così accettai di aiutarla». Un certificato di deposito che l’imputato non avrebbe mai utilizzato e che avrebbe restituito prontamente alla zia.
«Non ho mai riavuto né i 5 mila euro né i 6mila euro. – ha concluso – E per ricompensa io e i miei genitori siamo stati denunciati. Non siamo le prime vittime di mia zia. E’ già recidiva. E’ sempre alla ricerca di soldi. Nel 2009 chiese alla comunità torrese un aiuto in denaro per ritrovare il figlio scomparso, e poi improvvisamente ricomparso a casa sua. In aula si è presentata zoppicando, raccontando falsità e dicendo di essere malata. Non è vero, abbiamo video che lo testimoniano». La tesi difensiva portata avanti sin dall’inizio del dibattimento dall’avvocato Antonio Cirillo è infatti improntata proprio nel dimostrare che la zia si fosse in realtà «inventata un vero e proprio business». Quello di «farsi prestare i soldi, non restituirli per poi denunciare i suoi ‘‘benefattori’’». Una trappola montata ad arte attraverso telefonate, registrazioni e persino interviste per alcuni programmi tv nazionali.

mercoledì, 21 Febbraio 2018 - 11:30
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