Ciro Colonna, il ragazzino che risvegliò
le coscienze del Lotto 0 di Ponticelli

Ciro Colonna, il 19enne ammazzato per errore in un agguato di camorra
di Manuela Galletta

Diciannove anni e una vita spezzata ingiustamente dalla camorra. Spezzata da killer feroci che non si sono fatto scrupolo di rivolgere la pistola contro un ragazzino che nulla aveva a che fare con le logiche del malaffare né tantomeno con l’uomo che era il vero obiettivo del raid. Diciannove anni e tanti sogni nel cassetto spazzati via da una maledetta pallottola, esplosa a bruciapelo, mentre lui – ragazzino figlio della disgraziata periferia est di Napoli – si era chinato per raccogliere da terra gli occhiali che nel parapiglia dell’agguato gli erano caduti. Ché quello era un regalo della sorella, e lui – cresciuto in una famiglia perbene ma modesta, di quelle che ancora oggi dà valore alle cose e ai sacrifici – non voleva che venissero persi o danneggiati.
Ciro Colonna è morto così nel pomeriggio del 7 giugno 2016. E’ morto perché prima di pensare a se stesso ha pensato a custodire, preservare un ricordo, un regalo. E basterebbe solo questo, solo questo slancio di ingenua generosità a consentire di affermare con serenità che Ciro era un ragazzino perbene. Basterebbe questo per sgomberare i dubbi, le insinuazioni che in un primo momento avevano pure accompagnato le indagini. Sì, perché una fetta di investigatori s’era convinta che quel ragazzino non fosse poi tanto innocente visto che si trovava in quel maledetto circoletto gestito da Umbertino De Luca Bossa (fratello del boss ergastolano Antonio detto ‘o sicc) e in cui si trovava il vero obiettivo del raid, il boss dei ‘barbudos’ Raffaele Cepparulo detto ‘Ultimo’ (morto ammazzato quello stesso pomeriggio); visto, ancora, che con Raffaele Cepparulo qualche chiacchiera la scambiava pure. Una considerazione frutto di una miopia grave. La miopia di chi, le periferie disagiate di Napoli, non le conosce. Di chi non si rende conto che, se vivi in palazzoni come quelle del Lotto 0 e sei un ragazzino che non ha possibilità di spostarsi coi propri mezzi per raggiungere posti più chic, i circoletti abusivi che insistono nel posto in cui vivi non restano che la tua unica possibilità di svago. Non sono altro che l’unico luogo in cui puoi trascorrere qualche ora con gli amici. Il Lotto 0, e te ne accorgi appena ci metti piede, è un agglomerato di cemento che svetta verso il cielo posto alla periferia della già periferica – rispetto a Napoli città – Ponticelli. Tutto intorno il nulla. Di fronte c’è solo il fantasma dell’ospedale del Mare e il lungo stradone di viale Villa della Roma che lega l’imbocco per l’autostrada a via delle Repubbliche Marinare. Non un pub, non un ristorante. Neppure una fermata di Metro o di Circumvesuviana che potrebbe consentire rapidi spostamenti verso altri luoghi della città. C’è solo una fermata di pullman. A quando passano i pullman. E, allora, se vedi da questa prospettiva la vita di un ragazzino che non ha soldi in tasca da spendere né mezzi di locomozione propri per spostarsi, ti rendi conto che i circolletti sono il solo momento di svago che il luogo ti offre. Né è pensabile che se sei un adolescente, te ne debba stare chiuso 24 ore su 24 ore solo perché nel tuo rione ci abitano anche delinquenti. A cominciare dai De Luca Bossa. Lì, in quel posto disgraziato dove la camorra firma la propria supremazia disegnando scritte ad hoc sui portici di cemento dei palazzi, un ragazzino perbene come Ciro è chiamato alla fatica di vivere, di convivere con la criminalità imparando però a non farsi trascinare a fondo dai malviventi. E’ un equilibrio costante tra il bene e il male. Un equilibrio che i genitori di Ciro hanno insegnato a lui e a sua sorella. Gente perbene, i Colonna. Gran lavoratore il padre. Uno che si spacca la schiena dalla mattina alla sera guidando i camion. Uno che, per portare soldi onesti a casa, trascorre quasi tutta la settimana lontano da casa, mentre alla moglie è demandato il delicato compito di trasmettere ai figli i valori sani. E Ciro, quei valori, li aveva assimilati. Andava a scuola, Ciro. Quella serale. E la mamma pensava pure di farlo andare a lavorare col padre, quando s’è resa conto che nel giro di amicizie del suo Ciro, ragazzini che lei conosceva tutti e che mai un problema con la legge hanno avuto, s’erano infiltrati volti nuovi che a lei non piacevano. Erano i volti della ‘paranzella’ di Raffaele Cepparulo, del boss degli Esposito-Genidoni della Sanità, che pochi mesi prima di morire ammazzato, s’era trasferito armi e bagagli a Ponticelli, forte dell’appoggio di alcuni parenti, pensando così di nascondersi alla guerra di camorra scoppiata nel ventre molle di Napoli tra il suo clan, anche detto dei ‘barbudos’ per via della barba folta e lunga in stile Isis che i suoi componenti si erano fatti crescere come segno criminale distintivo, e quello dei Vastarella. Sì, Ciro Colonna, quei ragazzi li conosceva. Perché essi avevano preso a frequentare il circoletto dove Ciro spesse volte trascorreva qualche ora – dopo la scuola serale – in compagnia dei suoi amici. Li salutava, e sicuramente ci ha scambiato anche qualche parola. Ma nulla di più. Ciro ha sempre mantenuto la barra dritta. E non è un caso se, quando una fetta di investigatori ha insinuato i dubbi sulla sua persona rilanciati poi da una parte della stampa (costretta a rivedere le sue posizioni qualche mese dopo), un intero rione si è mobilitato per difendere la memoria di Ciro, organizzando una fiaccolata. Roba che in un posto chiamato Lotto 0, dove tutto, o quasi, rimanda alla famiglia De Luca Bossa e dunque alla camorra, non si è mai visto prima. Roba che a Ponticelli non s’è mai visto in alcuno dei rioni dove la criminalità organizzata ha impianto i propri business. Qui di omicidi ce ne sono stati parecchi. Ma nessuno mai s’è sognato di scendere in strada per gridare all’innocenza di Nunzia D’Amico, il capo dell’omonimo clan che aveva la sua base operativa nel Conocal. Nessuno mai s’è sognato di scendere in strada per Flavio Salzano, ammazzato da latitante presumibilmente dal suo stesso clan, i De Micco. Per Ciro invece le coscienze si sono smosse. E si sono smosse di fronte all’ingiusta narrazione dei fatti. Bastava questo per capire che Ciro Colonna è stata una vittima innocente della camorra. Bastava essere ai suoi funerali, ai quali presenziarono anche l’assessore Alessandra Clemente e il vicesindaco Raffaele Del Giudice: chi conosce l’amministrazione comunale sa bene che se ai piani alti di Palazzo San Giacomo hanno un solo dubbio circa l’onestà di una vittima di camorra, nessuno viene inviato alle esequie. Invece quel giorno il Comune c’era. E c’erano gli amici di Ciro, che con i denti hanno difeso davanti ai cronisti – accorsi in massa – il loro amico. Arrivando persino, e questo è un particolare che in pochi hanno intercettato all’epoca, a strappare uno striscione che la paranzella di Raffaele Cepparulo aveva preparato: sopra c’erano le foto di Cepparulo e Colonna, affiancate. Nella bestialità della camorra, qualcuno voleva onorare la memoria di un ragazzino morto per niente. Ma loro, gli amici, quelli che Ciro lo tengono nel cuore, hanno impedito che lo striscione venisse esposto, che i volti neri della camorra prendessero parte ai funerali. Quando a morire è un boss della camorra o un semplice affiliato, tutto questo non accade. Per la morte di Ciro si è indignato un intero quartiere. Si è risvegliato un intero quartiere. Ciro era una brava persona. Senza se e senza me. Ciao Ciro.

martedì, 27 Marzo 2018 - 12:33
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