Crollo di rampa Nunziante, chiesti 80 anni di reclusione: «Imperizia e speculazione immobiliare la causa della tragedia»

di Roberta Miele

Anche le illegittimità urbanistiche hanno causato il crollo della palazzina di rampa Nunziante a Torre Annunziata che il 7 luglio 2017 ha seppellito otto persone, tra cui due bambini.

Un intreccio atti falsi, attestazioni mendaci, «gioco dell’errore» e malafede degli imputati, o, per dirla con le parole del Riesame, «un’operazione di lavanderia urbanistica, riciclaggio puro per rendere l’immobile commerciabile». Immobile, per l’accusa, del tutto abusivo perché costruito in difformità alla licenza edilizia rilasciata nel 1957. Circostanze che hanno contribuito ad un finale evitabile, «una tragedia figlia di imperizia e di insofferenza al rispetto delle regole». Ed è per questo che la procura oplontina, rappresentata dal pm Andreana Ambrosino, al termine di una lunga e complessa requisitoria non ha fatto sconti agli imputati per i quali ha chiesto condanne pesanti.

Per l’architetto Massimiliano Bonzani, accusato insieme ad altri cinque di crollo e omicidio colposi e falso, la richiesta più alta: quattordici anni di reclusione. Secondo il pubblico ministero, Bonzani, oltre ad avere diretto i lavori condominiali e dell’appartamento al primo piano di Marco Chiocchetti, è stato il «direttore occulto» degli interventi di ristrutturazione del secondo piano, nonché il redattore delle scia e dei modelli docfa, attestando il falso con «dolo particolarmente intenso e con modalità subdole e insidiose». Tredici anni per l’architetto Aniello Manzo, sempre alle spalle di Bonzani, assumendo di fatto insieme a lui la direzione dei lavori al secondo piano. Undici anni e mezzo a Gerardo Velotto, promissario acquirente dell’appartamento al secondo piano e committente degli interventi che avrebbero causato il cedimento. Stessa richiesta per Pasquale Cosenza, l’operaio «mastro» che, per la procura, li ha eseguiti materialmente.

Nove anni e otto mesi per gli avvocati Roberto Cuomo, quale amministratore di condominio, e Massimiliano Lafranco, promissario venditore dell’immobile. Pene minori per gli altri imputati, accusati a vario titolo di falso. Per Rosanna Vitiello, Ilaria Bonifacio, Mario Chiocchetti, Rita Buongiovanni, Giuseppe Buongiovanni e Roberta Amodio, un anno e quattro mesi. Un anno per Donatella Buongiovanni e Mario Cirillo. Chiesta, invece, l’assoluzione per non aver commesso il fatto e perché il fatto non costituisce reato nei confronti di Emilio Cirillo e Luisa Scarfato. Entrambi sono del tutto estranei alle vicende del fabbricato.

La requisitoria dipinge in Aula, davanti al giudice Francesco Todisco, un quadro inquietante: di volta in volta, negli atti pubblici e attestazioni vari la licenza di abitabilità del 1959, che afferisce la sola salubrità dell’edificio, veniva spacciata per licenza edilizia. In altri casi, invece, veniva fatto il riferimento all’autorizzazione a costruire – esistente – rispetto alla quale, però, l’immobile era del tutto difforme. In opposizione alla tesi delle difese, la procura sostiene che il palazzo necessitava di un titolo abilitativo in quanto, seppur in assenza di un perimetro definito, era all’interno del centro abitato. Ne sono la testimonianza, per il pm, la presenza già negli anni Cinquanta di opere di primaria e secondaria urbanizzazione come l’allacciamento alle fogne urbane. Proprietari attuali e danti causa non potevano non sapere in quanto fin dal 2007 avevano intrapreso le trattative per la «redditizia speculazione immobiliare», racconta il pm.

Nel 2008, quindi, la proposta di acquisto irrevocabile da parte di Giacomo Cuccurullo in proprio e come procuratore di Salvatore Manzo (padre di Aniello) del credito che Italfondiario aveva nei confronti dei Buongiovanni. Nel 2004, inoltre, era iniziata la prima di tre azioni esecutive che, nel tempo, hanno avuto ad oggetto il pignoramento della palazzina, in tutti e tre i casi dichiarata abusiva dai consulenti del tribunale. Infine, il «consapevole contributo dei proprietari emerge dal fine ultimo: rendere legittimi dal punto di vista catastale gli immobili in vista della stipula dell’atto definitivo di compravendita del 21 aprile 2016» tra i danti causa, gli eredi Buongiovanni, e gli attuali proprietari.

Ma il fendente del pubblico ministero non colpisce solo gli imputati: «L’Ufficio tecnico di Torre Annunziata era ben consapevole che l’immobile fosse illegittimo, e lo sapeva fin dal 2005». Nessuno mai si è premurato di effettuare un controllo sui lavori in corso al primo piano nonostante la scia fosse stata archiviata. «La ragione è semplice: al quinto piano abitava Giacomo Cuccurullo, funzionario comunale che, ironia della sorte, si occupava di edilizia privata». Cuccurullo, «era la patente del palazzo che garantiva che nessun controllo sarebbe stato effettuato dagli organi competenti».

E sempre lui sapeva, come tutti gli altri, di quei lavori abusivi «eseguiti in spregio alle regole di diligenza e perizia». E tutti «quando si sono resi conto che le strutture erano in sofferenza hanno utilizzato rimedi inadeguati. Poi quando i pericoli erano diventati evidenti hanno omesso di chiamare i vigili». Parole pesanti come macigni sul ricordo dell’architetto che quella maledetta mattina è rimasto schiacciato dalle macerie insieme a sua moglie Edy Laiola e suo figlio Marco, a Giuseppina Aprea, Pasquale Guida, la moglie Anna Duraccio e i loro figli Francesca e Salvatore.

mercoledì, 10 Febbraio 2021 - 20:19
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