Crollo a rampa Nunziante, l’ultimo affondo della difesa prima della sentenza: «Non c’è prova al di là di ogni ragionevole dubbio»

Torre Annunziata, crollo della palazzina di Rampa Nunziante (foto Kontrolab)
di Roberta Miele

«La consulenza tecnica di Prota e Augenti sembra un’informativa di polizia giudiziaria»: è caustico l’avvocato Giuseppe Della Monica, legale di Gerardo Velotto e Pasquale Cosenza. Entrambi imputati per crollo e omicidio colposo nel giudizio per il cedimento della palazzina di rampa Nunziante di Torre Annunziata, che il 7 luglio 2017 è venuta giù uccidendo otto persone, tra cui due bambini. Velotto è il promissario acquirente dell’appartamento al secondo piano e committente dei lavori che avrebbero, secondo l’accusa, causato il crollo. Consenza, invece, è il mastro che li avrebbe effettivamente eseguiti sotto la direzione dell’architetto Massimiliano Bonzani. Tesi respinta dalla difesa di quest’ultimo, la quale sostiene che il tecnico ha diretto solo i lavori condominiali e al primo piano.

Quella dell’avvocato Della Monica è l’ultima discussione prima della sentenza. Una discussione che ha un obiettivo chiaro: demolire la perizia dei consulenti tecnici della procura che individuano quali concause del crollo la demolizione dei tramezzi divisori e la significativa riduzione del maschio murario tre. Una teoria che non regge, per la difesa: «E’ come se ci fosse stato “il seppellimento del cadavere senza avere effettuato l’autopsia” è la metafora utilizzata da Augenti”. Ecco perché l’intera consulenza è fondata sulle dichiarazioni, nemmeno tutte confermate. Altre confermate, altre con un’inutilizzabilità relativa, presidente. Non è che a Velotto si possono opporre le dichiarazioni di Bonzani e Manzo perché sono contenute nella consulenza. Sarebbe contrario alle più elementari norme processuali».

E delle testimonianze utilizzabili «nessuna parla di uno stato di pericolo». Il perito della procura, durante l’escussione, ha parlato di «maschio martorizzato», ma il consulente tecnico di Velotto e Cosenza, «il professore Petti, – insiste il legale – ha misurato il maschio che era di un metro e sessante ed è di un metro e sessanta». Inesistente anche il pilastrino di mattoni rossi citato da Augenti: «Non è mai stato realizzato, altrimenti avrebbe dovuto trovare della malta tra i mattoni, ma non c’è niente. E non c’è la fondazione del pilastrino».

Infine, non è possibile stabilire nemmeno l’incidenza della rimozione del tramezzo: «Augenti non ha fatto il modello geometrico. Ha preso le dichiarazioni, ha preso la perizia di Linterno (il consulente che ha redatto la perizia nel corso dell’esecuzione immobiliare a cui era stato sottoposto l’edificio anni addietro, ndr) e si è fatto il suo convincimento. L’assenza di un modello geometrico rende carente anche il modello meccanico. Ecco perché io volevo i calcoli. Perché il consulente del tribunale deve dare la prova al di là di ogni ragionevole dubbio».
Quanto alla tesi alternativa proposta da Petti, che nel progressivo sprofondamento del suolo uno dei fattori che hanno inciso nella tragedia, la difesa puntualizza: «La subsidenza è un fenomeno scientifico, non è una favola. Ma non è la causa del crollo. Sono i dettagli costruttivi a fare cedere il palazzo: i solai sono appoggiati su dieci cm di muro e col tempo possono essere fuoriusciti. Le macerie infatti sono balzate in avanti non sono cadute in verticale».

Sul rapporto tra Velotto e l’architetto, la difesa insiste: «Bonzani è il direttore dei lavori. Ha ricevuto un incarico verbale». Velotto «non sapeva nemmeno del blocco catastale, altrimenti non avrebbe dato un anticipo di 230mila euro, pensava di agire nella piena legalità». Poi l’affondo: «Diamo dieci anni a Velotto e Cosenza perché nonostante la nomina del direttore dei lavori non hanno fatto una valutazione di sicurezza?». Infine la richiesta di assoluzione «perché il fatto non sussiste non essendo provato il nesso causale e per non aver commesso il fatto».

mercoledì, 21 Luglio 2021 - 18:07
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