Nel bene confiscato progetti per i più deboli, Morcone: «Alcuni sindaci possono fare di più». Leonardi: «Più competenza»

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Il convegno sui beni confiscati e politiche per le persone svantaggiate nel centro polifunzionale 'Il Girasole'

L’assessore regionale alla sicurezza Mario Morcone ha strigliato «alcuni sindaci» «che dovrebbero fare di più» per il riutilizzo dei beni confiscati, mentre il docente Alessandro Pepino dell’Università Federico II ha accusato le imprese di defilarsi quando arriva il momento di inserire in organico persone con disabilità più importanti ma comunque formate e finanche con il titolo della laurea. Il sindaco Nicola Pirozzi invece ha puntato l’indice contro la burocrazia e la mancanza di dipendenti come cause della difficoltà nella gestione virtuosa dei beni confiscati.

Ieri mattina a Giugliano si è parlato di beni confiscati e politiche a tutela delle persone maggiormente vulnerabili e non sono mancate le analisi critiche: è accaduto durante il convegno dal titolo «L’inclusione come occasione di riscatto. Dall’illegalità all’integrazione, un ponte di speranza per il futuro». Il dibattito si è tenuto nel centro polifunzionale ‘Il Girasole’, palazzina inserita in quello che fu il ‘parco Rea’, sequestrato alla fine degli anni Novanta dalla Finanza e poi divenuto oggetto di confisca e (in larga parte) di riutilizzo.

Nel rimarcare l’importanza del riuso e della valorizzazione dei beni confiscati alla camorra in quanto «leva importante anche dal punto di vista economico, dell’innovazione, dei posti di lavoro per i nostri giovani, una serie di opportunità che non possono essere tralasciate», l’assessore Morcone ha bacchettato alcuni primi cittadini: «Ci sono tante situazioni che ci piacerebbe veder decollare e vedere qualche sindaco un po’ più impegnato in queste attività che sono un valore».

Nel complesso come ricordato da Morcone «la Campania è leader del riuso e della valorizzazione dei beni confiscati»: «La Campania – ha sottolineato – è stata capace di mettere in atto un grande impegno nei confronti di un territorio che ha subito ferite profonde. In particolar modo nella parte della città metropolitana e Caserta. È un percorso su cui dobbiamo lavorare ed insistere con l’aiuto di tutti voi perché è un modo di riappropriarsi per i cittadini di pezzi di territorio di economia, di speranza, d’impresa che erano stati sottratti con il sopruso e con la violenza ma è anche un modo per far maturare dei concetti e un senso di appartenenza alla collettività che davvero costruisce un futuro diverso».

Il sindaco di Giugliano Nicola Pirozzi ha invece, individuato due criticità del ‘sistema’ della pubblica amministrazione che rallentano il processo di riutilizzo dei beni confiscati: «Non è facile assegnare i beni confiscati a causa di difficoltà di carattere burocratico e amministrativo e per la carenza cronica di personale. È un problema enorme che abbiamo nelle amministrazioni comunali. E maggiormente per una città importante, grande e difficile come Giugliano, un territorio di 94km quadrati, 130mila abitanti, ha solo 180 dipendenti». Eppure, nonostante queste difficoltà, il Comune di Giugliano è uno di quelli virtuosi nel restituire un nuovo volto ai beni appartenuti ai malavitosi e il sindaco Pirozzi è tra gli amministratori locali più attenti, tanto da avere istituito una delega ad hoc. «Noi abbiamo messo a bando (è scaduto verso la fine di settembre) 3 ville confiscate in zona costiera, un bene a via Innamorati e un altro lo abbiamo già assegnato ai rifugiati dell’Ucraina – ha raccontato – Siamo uno dei pochi comuni che ha dato un bene confiscato a chi vive un momento di grande difficoltà come la guerra. Quattro beni a breve verranno ridati alla commissione e gli uffici provvederanno ad assegnarli al terzo settore così come è stato fatto molti anni fa con Giovanni che ha creato questa bellissima realtà».

Una realtà, quella del centro polifunzionale ‘Il Girasole’, che ospita diversi progetti finalizzati all’orientamento e alla formazione professionale di persone diversamente abili, all’accoglienza e all’inserimento nel mondo del lavoro di madri scappate da contesti di violenza; all’accoglienza e alla tutela di minori a rischio; all’accoglienza di giovani immigrati.

Ed è sulle politiche in favore dei diversamente abili che si è focalizzato l’intervento, assai critico, del professore della Federico II Alessandro Pepino, delegato del Rettore alla Disabilità e ai disturbi specifici dell’apprendimento. Il docente ha invece puntato l’indice contro le imprese per l’esclusione dal mondo del lavoro di persone con particolari disabilità. «Nel 2000 le segreterie rifiutavano le iscrizioni di studenti con disabilità. Non c’era alcuna speranza. L’università era il sinonimo dell’esclusione. Poi la legge 1799 ha fatto un grande passo in avanti perché ha creato un punto di responsabilità che è il delegato. Oggi noi come Università Federico II abbiamo fatto un gran lavoro rivolto all’inclusione: abbiamo fatto partire una formula di tirocinio garanzia giovani. Noi siamo andati avanti, ma le imprese sono rimaste ferme. Io ricevo sistematicamente richieste da parte delle aziende ma quando si comincia a parlare di trovare persone che hanno la 104, le invalidità (fino al 45%), che consente all’azienda di colmare le quote di legge e non prendere multe siamo tutti amici. Quando comincio a dire che abbiamo la persona laureata che è ipovedente, cieca, ecc. che ha un titolo di studio e quindi ha il diritto di lavorare, spariscono le aziende. Pensate che i progetti le misure e i progetti di garanzia giovani per persone disabili sono partite solo per le università. Nessuna azienda ha fatto partire un progetto di tirocinio. Progetti in cui la Regione pagava il tirocinio, nel quale io mettevo le persone con disabilità e le accompagnavo per la formazione, per il sostegno, per l’affiancamento, per la sensibilizzazione, niente. Il responsabile di Confindustria ha bannato il mio numero perché cercavo di chiamarlo».

La psicologa psicoterapeuta Evelina Di Pineto dell’associazione ‘Le Kassandre’ ha invece posto l’accento sul sostegno alle donne vittime di violenze e sull’importanza dell’indipendenza economica per una donna al fine di lasciare la casa dove si consumano le violenze: «La forma di violenza più subdola è quella economica. E’ quella più difficile da intercettare. La dipendenza economica è un forte deterrente per permettere alle donne di uscire da contesti violenti. L’anno scorso abbiamo attivato una raccolta fondi per permettere alle nostre utenti di usufruire di corsi professionalizzi da poter spendere in percorsi di lavoro». «La violenza domestica ha un escalation: si parte dal conto cointestato fino a che viene data la paghetta. Anche in fase di separazione vediamo altra violenza quando alle donne vengono negati gli assegni familiari per i figli. L’indipendenza quindi è importantissima», ha concluso.

martedì, 20 Dicembre 2022 - 15:11
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