Gestione Covid a Bergamo, tutte le accuse dei pm ai 19 indagati “eccellenti”: «4mila morti evitabili con la zona rossa»

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Foto Kontrolab

Inchiesta della procura di Bergamo sulla gestione della prima ondata Covid, due le architravi investigative nell’avviso di chiusura dell’indagine che mette a rischio processo i 19 indagati, alcuni dei quali eccellenti come l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e l’allora ministro della Salute Roberto Speranza nonché il governatore della Regione Lombardia Attilio Fontana.

Anzitutto al centro della contestazione dei magistrati vi è la mancata istituzione di una zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro, nonostante l’impennata dei contagi tra la fine di febbraio e i primi giorni di marzo. L’ipotesi degli inquirenti è che il provvedimento avrebbe potuto evitare 4mila vittime. Eppure, come già emerso, il Comitato tecnico scientifico suggerì la chiusura dei due comuni a fronte dell’impennata dei contagi.

C’è poi il capitolo del piano influenzale pandemico, risalente al 2006, e non applicato. Una presunta omissione che avrebbe comportato una catena di ritardi, determinante nella diffusione incontrollata del virus. Emblema di tale esplosione epidemica, l’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano, epicentro delle pandemia nella Bergamasca: in quei giorni, quasi in contemporanea con la scoperta del Paziente 1, erano stati registrati molti casi e anche vittime.

In pratica, ci sarebbe stata «un’insufficiente valutazione di rischio – afferma il procuratore Antonio Chiappani in un’intervista a Repubblica -, di fronte a migliaia di morti e alle consulenze che ci dicono che potevano essere eventualmente evitati, non potevamo chiudere con una archiviazione». Chiappani, per altro, recrimina per la fuga di notizie sull’inchiesta, che «ci ha messo in grande difficoltà e imbarazzo. È stato fatto un danno a livello di immagine, perché vedere la notizia uscire prima del nostro annuncio mina la nostra credibilità».

Sono 19 gli indagati, cui sono stati notificati gli avvisi di conclusione indagine. Tra questi l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro Roberto Speranza – per loro due è competente il Tribunale dei Ministri con sede a Brescia – il presidente della Lombardia Attilio Fontana, l’ex assessore del Welfare lombardo Giulio Gallera, e una serie di tecnici come l’ex dg della prevenzione del ministero, Claudio D’Amario, il coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico, Agostino Miozzo; Silvio Brusaferro, direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, e Angelo Borrelli, ex capo della Protezione Civile. Le accuse contestate a vario titolo, sono epidemia colposa aggravata, omicidio colposo, rifiuto d’atti d’ufficio e falsi.

Diverse le posizioni per Conte e Speranza. L’ex presidente del Consiglio è accusato di non aver istituito la zona rossa nel comuni di Nembro e Alzano Lombardo nonostante «l’ulteriore incremento del contagio» in Lombardia e «l’accertamento delle condizioni che (…) corrispondevano allo scenario più catastrofico». A Speranza si contesta solo la mancata attuazione del piano pandemico. L’ex ministro della Salute aveva firmato una bozza di decreto con cui proponeva di estendere la misura urgente di «contenimento del contagio» già adottata nel Lodigiano, ai due comuni della Bergamasca. Ma il documento non venne sottoscritto da Conte. Secondo le ipotesi degli inquirenti, la mancata istituzione della zona rossa avrebbe causato «la diffusione dell’epidemia» in Val Seriana con un «incremento stimato non inferiore al contagio di 4.148 persone, pari al numero di decessi in meno che si sarebbero verificati» se fosse stata disposta dal 27 febbraio 2020 da Conte o da Fontana.

L’allora premier, assieme ai componenti del Cts, nelle riunioni del 29 febbraio e 1 marzo 2020, si sarebbe invece «limitato a proporre (…) misure meramente integrative, senza ancora una volta, prospettare di estendere» la decisione già adottata nel Lodigiano, «nonostante l’ulteriore incremento del contagio» e «l’accertamento delle condizioni che (…) corrispondevano allo scenario più catastrofico». Quanto alla mancata applicazione del piano pandemico, Brusaferro avrebbe proposto non la sua «attuazione» bensì «azioni alternative, così impedendo l’adozione tempestiva delle misure in esso previste». E per non aver applicato il piano regionale risultano invece indagati Gallera e l’ex dg del Welfare lombardo, Luigi Cajazzo. Per l’ospedale di Alzano sono indagati i vertici e dirigenti della Asst di Bergamo Est: secondo l”indagine, non avrebbero adottato misure di contenimento del virus e il pronto soccorso venne chiuso e poi riaperto senza l’adeguata sanificazione. Queste condotte avrebbero comportato una accelerazione dei contagi e la morte pure di qualche medico.

venerdì, 3 Marzo 2023 - 19:45
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